UN'IDEA PRIMARIA
Quest’ultima non appare come la volpe sull’Isola Polvese, non si rivela, ma è fatta di linguaggi inaccessibili, è a tutti gli effetti un cortocircuito di storie e dialoghi con un tu o un noi, refrattario o distante. Non poco spazio è dedicato inoltre al dialogo con sé stessi, a quella dimensione di intima riflessione fatta di mascheramento e adesione profonda alla realtà interna, come un mondo ulteriore dietro le apparenze sensibili, ordinarie che pure l’autrice prende in considerazione.
Dal punto di vista stilistico, il lessico accoglie termini quotidiani e insieme termini alti che si riferiscono ad altrettanti concetti, se vogliamo filosofici. Nel testo si alternano ipotassi e paratassi, il dettato e la postura sono alto-tragiche, l’io non è frantumato o slogato, nonostante dubiti continuamente e si ponga domande sul fine ultimo dell’esistenza, approfondendo le ragioni e i modi d’essere dei già nominati corpo, voce, vita, morte, mondi, linguaggi, immagini.
L’attenzione agli oggetti quotidiani e al paesaggio naturale e urbano, insieme alla dimensione dialogica sopra menzionata, quel ritorno al tu zanzottiano, permette di rientrare in noi, come si legge nella chiusa della poesia con cui si conclude il libro: il soggetto esce da sé e si sdoppia o moltiplica negli incontri, per tornare a sé, arricchito in virtù del dubbio che lo accompagna. Aggiungo che il libro non sarebbe lo stesso se il flusso di coscienza reiterato e le interrogative non riguardassero anche l’aspetto filosofico della natura umana. Per la connessione tra biografia e ricerca dell’universale e per tutti gli elementi sopra menzionati, l’altro limite con inediti è un bel libro.
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Ed. Pellegrini 2024
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Seguono due testi dalla raccolta:
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VII.
Del nostro bene avrai un’eredità
come raccogliere la filigrana dei cristalli di
neve
e aspettare che si sciolgano sopra un’immagine.
C’è una precisione fra le molecole, non si può
dire:
intricate e salde quando iniziavamo a capirci,
poi aperte, parlanti, inesistenti.
Allora incido l’eredità della tua voce
attraverso i microfoni, la lascio sedimentare.
Con distanza l’immagine dei nostri piedi si
forma,
è polvere, tutte le cose intorno diventano
opache.
La zip che unisce la giacca al petto sembra
la strada di una città con molte archeologie,
la polvere ci copre come la voce:
nevica sui tetti di paglia, su teste di paglia,
i cristalli sono ognuno diverso e inumano.
Consapevoli fingiamo che il bene costruito
possa sciogliersi definitivo
insieme a tutto leggero tutto è
definitivo.
(p.26)
*
VI. USCIRE DALLE PAROLE, ENTRARE NELLE PAROLE…
Uscire dalle parole, entrare nelle parole:
la luce si rifrange e dà i colori –
essere sempre dentro – la mano vicina
sembrava bianca, stesa diventa cosa?
Allora, essere sempre fuori –
tutte le parole posate sopra di noi.
Ma il tuo respiro è incolore e insapore,
mi apro per capirlo. Il respiro non si finge.
La luce confonde. Il respiro è autentico.
Regolo il mio con il tuo –
uscire dalla luce, rientrare in noi.
(p. 60)
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