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LIBRI E RECENSIONI. MARISA FORCINA - FRANÇOISE COLLIN. PENSARE NELLA DIFFERENZA, PENSARE NELLA LIBERTÀ

UNA VITA DI RAGIONAMENTI

Francoise Collin

Di Manuela Monda

“Una sola immagine racchiude molti discorsi”. Così, Marisa Forcina, riprendendo le parole di Françoise Collin, in relazione al legame che per la filosofa esisterebbe tra femminismo e fotografia, tra femminismo e scrittura, tra femminismo e arte, intesi come reciprocità di sguardi differenti sul mondo, in questo volume che mi piace definire non solo un saggio filosofico ma anche una dissertazione sul ricordo e sull’amicizia, sembra stabilire una base di contenimento di quello che è stato tutto il pensiero della filosofa francese.
Un saggio che, affidandosi al potere evocativo delle parole, che sono declinate, raccontate e utilizzate come se fossero delle entità angeliche (angeli che Françoise Collin amava particolarmente perché in loro rivedeva tutta la potenza straordinaria dell’annunciazione come incarnazione) è, anzitutto, un tentativo di restare in dialogo con una donna che non c’è più attraversando tutta la portata di quelle che sono state le sue idee.

Una introduzione, una premessa e otto capitoli che narrano, indagandoli come a darne una nuova lettura, il rapporto privilegiato che Françoise Collin ebbe con l’Italia, la sua esperienza con Les Cahiers du Grif, il mondo comune ma anche filosofia, femminismo, politica, identità, genere e differenza.
Descritta come “una persona particolare” Françoise Collin torna, in queste pagine, ad essere presente grazie al suo essersi sempre mossa, nei suoi ragionamenti come in tutta la sua vita, in un essere oltre o in un altrove e in un pensare altrimenti–in un tempo sospeso per dirla con Blanchot-  da cui, in verità, sembra non essersi mai spostata. Ragione per cui, quella di renderla presente è stata, per Marisa Forcina, una prassi più semplice e più naturale di quanto ci si possa aspettare o immaginare per dare avvio ad un dialogo con una persona che, in realtà, non c’è più.
Riportandola viva in un linguaggio performativo fatto di voci e di sguardi plurali e, dunque, differenti.
Tentativo che, in queste pagine, è riuscito alla perfezione perché non solo attraverso il ricordo di Françoise Collin Marisa Forcina ha rimesso in piedi tutta l’architettura del suo ragionare, ma anche perché in questa danza costante delle rievocazioni è riemersa una bellissima relazione di senso e di significato che è soprattutto una relazione di umanità, di gratitudine e di riconoscimento tra le due pensatrici.
Il ri-conoscimento, il ri-conoscersi è uno dei passaggi fondamentali nella differenza.
Riconoscere chi è altro da sé significa riconoscere la sua esistenza come espressione singolarizzata all’interno di una comunità. Non un comunismo o una comunione. Ma una comunità, come spiegherà Marisa Forcina ripercorrendo il suo pensiero.
E cioè lo spazio condiviso in cui le interazioni e gli scambi diventano presenze che agiscono in un differendo e in cui la differenza stessa diventa una questione politica progressiva. Un esercizio di trasformazione e di differenziazione continua. Una tensione costante che ha un passato e un presente. Ma che non ha un futuro predeterminato. Almeno non uno già scritto.
Da non credente, - nei primi anni dei Cahiers du Grif affronta proprio la questione del complicato rapporto con la Chiesa- Françoise Collin detestava i dogmatismi e rimase ancorata per sempre alla filosofia che restava per lei, soprattutto un impegno politico. La differenza per lei era individuata come uno luogo di sottrazione ad ogni processo identitario tendente all’identico. Uno spazio in cui l’espressione singolarizzata del femminile era finita, però, sempre col confluire nell’indistinto del superfluo, poiché superfluo è, sempre, il respingimento del diverso, che resta al margine in una posizione, appunto non centrale e, dunque, inutile. Identificandosi con ciò che sfugge alla logica inclusiva dell’identità intesa come unica espressione dell’essere.
Non distinta, cioè dalla soggettività, ma anzi, molto spesso confusa con essa.

Marisa Forcina lo spiega molto bene, a più riprese, nel testo soprattutto quando affronta il tema della democrazia e della cittadinanza. Di eredità e ispirazione Arendtiana il pensiero sull’uomo che è diventato superfluo accompagna, all’interno del saggio, in una indagine filosofica sui motivi dell’assenza di una democrazia reale e concreta che si attua riferendosi ai principi di cittadinanza. Soprattutto quando i diritti di cittadinanza sono quelli delle donne. E soprattutto perché tali diritti restano formali.
Il tema del superfluo è analizzato per spiegare, altresì, la genesi dell’esclusione di una parte della comunità, che è quella femminile, e che a causa di questa sua esclusione non renderebbe né applicabile, né possibile alcuna forma di democrazia autentica. Come già nella Banalità del male Hannah Arendt aveva spiegato “il male è incarnato dalla brava gente che si fa complice del peggio senza pensare e senza reagire”. E “quella (brava) gente –aggiunge Marisa Forcina- pensa che rifugiarsi nel proprio privato sia il solo modo per tutelarsi. E non sa che proprio così si costruisce la nuova forma di alienazione che rende superflua l’intera umanità”. Un superfluo che si traduce, perciò, in una alienazione che è, essenzialmente, una rinuncia che prende valore normativo quando coincide, in modo quasi spontaneo se non naturale, con una scomparsa dal cospetto umano. In tale processo di sparizione sono finite le donne, in maniera inconsapevole, quando sono state puntellate allo spazio del privato. Privato che è politico e che si è trasformato in uno spazio di privazione. “La vita privata –dice Marisa Forcina riprendendo Françoise Collin- significa per coloro che vi sono confinati, la privazione di tutti i diritti che permettono loro di apparire e prendere posto nella comunità”.
Entrare in relazione con gli altri, nella comunità è possibile se si fa esercizio della presa di parola che, per le donne, coincide con la pratica femminista del partire da sé e soprattutto con quella dell’affidamento. Ed è l’affidarsi di due donne, Marisa Forcina e Françoise Collin, che tra queste pagine tiene il filo di uno scambio, di una rivoluzione.
Di una Petite Rèpublique, per dirla con Collin, che mette in un campo due voci diverse che sono e che restano in relazione tra loro.

Ma come fare per esercitare la propria voce? Come fare pratica del sé in uno spazio abitato da indifferenziazioni identitarie che fluiscono, nel tentativo di divergere, nell’appiattimento e nell’omologazione? Nelle ultime pagine del suo ricordare Françoise Collin e nella prospettiva di un pensare nella differenza come in un pensare nella libertà, Marisa Forcina mette insieme le riflessioni che riguardano proprio identità, genere e differenza e individua il fatto che, alla luce delle considerazioni di Collin, nel femminismo, oggi, il vantaggio sia quello di uno spostamento, in termini di intenzioni, dal paradigma dell’oppressione a quello della libertà femminile. Libertà che si traduce nei tempi e nelle modalità di un esercitarsi, nei corpi, nelle aspettative e anche nella voce.
Di un sapersi. Come donne capaci. Che cercano e desiderano, superando i criteri di una mistica della femminilità, anche il tempo “per perdere tempo”. E che il tempo non rimanga tutto ancorato a quel sé, femminile, che esiste in funzione degli altri. Per la sopravvivenza degli altri. Per la cura degli altri.
Di una potenza straordinariamente descrittiva del suo essere in un altrove -dove peraltro Françoise Collin amava farsi trovare- sono le pagine in cui Marisa Forcina evoca il tempo trascorso insieme a lei Lecce, in particolare quello durante le giornate delle Scuola Estive della Differenza raccontate come l’espressione di quelle che Françoise Collin amava nominare le Petites Républiques, ovvero quegli spazi di comunità in cui le donne effettuavano tanti piccoli déplacements che erano, in realtà, poi le rivoluzioni più grandi. Lì in quegli spazi di condivisione e di presa di parola delle donne lei intravedeva le più grandi pratiche di libertà. Che erano, tutte insieme, l’espressione singolare e singolarizzata di una universalità differente. Di quella differenza di cui siamo portatrici anche con lo sguardo, con l’osservazione attenta, con la narrazione che facciamo degli spazi abitativi che ci riguardano. E anche della lettura che diamo e che facciamo delle cose.

Nella sua ultima pubblicazione La cosa. Le donne scrivono Nicoletta Nuzzo ha messo insieme il rapporto che alcune pensatrici –tra le quali c’è anche Marisa Forcina sul pensiero della differenza- hanno avuto con la scrittura dicendo che “la scrittura delle donne è scrittura d’esperienza. Niente viene lasciato fuori dalla porta ma è dentro a una parola che mette in campo mente, corpo, affettività. È l’ordine del discorso maschile che ha sottratto la materialità delle parole e ne ha fatto un ordine astratto, tutto materiale. E allora –poi aggiunge- adesso si capisce che io ho bisogno di parole diverse e non indifferenti al mio corpo di donna”. Così anche nel saggio di Marisa Forcina la scrittura diventa il luogo di un ri-conoscimento attraverso il quale é possibile un ritrovare e un ritrovars-si, per le donne, nella voce di chi parla e di chi scrive. Senza che quel chi scrive rimanga costantemente una costruzione effettuata da un unico sesso. Così, anche tra le parole che Marisa Forcina ha utilizzato per raccontare Françoise Collin, tracciandone il ricordo, quelle che erano le sue abitudini, il suo modo di essere, di stare nel mondo, la sua ironia, il suo modo di giocare con le parole e di starci nel mezzo, di creare nelle parole e con le parole azioni creatrici, portatrici di senso e di verità e che di senso e di verità sono restituenti, è ravvisabile il potere soggettivo della scrittura che conferisce autorità allo sguardo di colei che le ha scritte e, di rimando avvalora anche una pratica di affidamento tra colei che le ha scritte e coloro che le leggeranno e che potranno farne un pensiero e un’interpretazione singolari, autentici e, dunque liberi del proprio sé.

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Informazioni sul libro
Marisa Forcina - Françoise Collin. Pensare nella differenza, pensare nella libertà.
Franco Angeli 2024
192 pag.
Attualmente in commercio
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Nota biografica: Manuela Monda osserva, immagina, scrive. Laurea in Lingue, Dottorato in filosofia. Insegna. Ha pubblicato diverse recensioni e traduzioni sulla rivista filosofica Segni e Comprensione, il saggio Profili femminili da nettificare, in Il Filo di Arianna. Materiali per la ricostruzione di un archivio della scrittura femminile salentina, il romanzo L’odore delle cose che ho perso, Bertoni Editore, La prefazione all’antologia Di pari Passo, Blitos edizioni, Poesie in Parole, Segni, Svolazzi di Collettiva Edizioni.

 



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