GIALLO SVEDESE. ANATOMIA DI UN GENERE
PREMESSA SUL GIALLO SVEDESE E SUL MIO SPECIALE
Riposto qui una versione sistemata e corretta di uno degli articoli con cui avevo iniziato a bloggare, il mio speciale sul giallo svedese, un genere che ho approfondito a volontà e con soddisfazione.
Già tra le righe si comprendeva come il rischio-serialità fosse in agguato. Nel frattempo il rischio si è concretizzato appieno.
Mankell ci ha lasciato, Persson saggiamente si è tirato fuori dalla contesa, Nesbo tra alti e bassi di Harry Hole sta provando altre direzioni, la saga di Larsson viene proseguita da una sorta di ghost-writer di lusso, con esiti non all´altezza.
Ci stava. Nulla sopravvive alla routine.
Detto questo, credo che per chi apprezza il genere ci sia motivo di soddisfazione nell´andare a prendersi qualcuno dei libri migliori dei romanzi che cito.
L´articolo è molto lungo. Chi preferisse, può scaricare qui il file dello Speciale Giallo Svedese.
IL GIALLO SVEDESE - Ovvero un paese di criminali,
poliziotti, vittime e testimoni
INTRO
Chi ama la Svezia
(come me e mia moglie) è a un certo punto costretto a ironizzare sulla
diffusione del giallo svedese, sulla proliferazione di scrittori, proliferazione
pure
Geografica perché
ispettori e criminali non si concentrano a Stoccolma, Göteborg e magari Malmö,
ma molto democraticamente sono sparsi su tutto il territorio svedese,
l´idilliaca Fjällbacka ha il suo ispettore, così come l´isola di Götland e via,
su tutto il territorio nazionale.
Il giallo svedese
ha radici antiche: la coppia Sjöwall/Wahlöö ne è stata capostipite, ma appunto
la diffusione nel continente europeo, la suddetta proliferazione, se vogliamo
anche la creazione di un genere giallo svedese e la sua entrata nel mondo delle
alte tirature è fenomeno dell´ultimo decennio, forse quindicennio se di questo
trend consideriamo iniziatore Henning Mankell.
Ora io non sono un
critico letterario, ma avendo osservato la Svezia volentieri mi allaccio a
questa citazione, proprio di Maj Sjöwall "in Svezia ci sono più giallisti
che scrittori e più delitti immaginari di quanti non siano mai accaduti nel
nostro paese"
Per cui al di là
delle normale serializzazione a scopi commerciali, da dove è nato l´impulso a
scrivere di crimini, complotti, serial killer? C´è o ci potrebbe essere un
minimo comune denominatore, un impulso iniziale, una inquietudine fondante?
Ecco, io conoscendo
appunto (un pochino) la Svezia, mi sentirei di citare 3 fatti
Il Paradiso perduto (che non esiste)
Da una parte un
paese oggettivamente bello, cittadini dall mentalità aperta, un vivere quieto e
pacifico, uno stato sociale fino a pochi anni fa fortissimo e che agiva da
"papà e mamma" , che accudiva i propri cittadini, un forte senso del
bene comune e della natura.
Ecco, ma anche in
Svezia la modernità ha mietuto le proprie vittime: il crescere
dell´immigrazione, lo smontamento (graduale) dello stato sociale, la caduta del
Muro e quindi il trovarsi (come paese di coste e confini) in mezzo alle
inevitabili tensioni che ciò comporta (le mafie baltiche, i contrabbandi, e
come detto l´immigrazione).
Molti si sono stupiti per l´attentato di matrice islamica proprio nel centro di Stoccolma: ecco senza voler fare la Cassandra io no, con quel retroterra di tolleranza mista a ghettizzazione (le banlieue della città sono luoghi problematici, l´integrazione continua a essere una sfida) purtroppo la Svezia e in particolare la sua metropoli sono scene del crimine "ideali" (tragicamente ideali) per questo tipo di attacco.
Molti si sono stupiti per l´attentato di matrice islamica proprio nel centro di Stoccolma: ecco senza voler fare la Cassandra io no, con quel retroterra di tolleranza mista a ghettizzazione (le banlieue della città sono luoghi problematici, l´integrazione continua a essere una sfida) purtroppo la Svezia e in particolare la sua metropoli sono scene del crimine "ideali" (tragicamente ideali) per questo tipo di attacco.
Il giallo svedese
può essere stata una reazione, uno sfogo, un modo di esorcizzare la propria
immagine e provare a confrontarla con la realtà, come il bambino considerato il
cocco della famiglia che per la prima volta prova il brivido della
trasgressione raccontando una bugia alla mamma o alzando le mani sul fratellino
più piccolo...
Le città svedesi (il trionfo della funzionalità)
Bellissimo il
centro di Stoccolma, molto bello quello di Malmö, rivedibile quello di Göteborg
- oggettivamente
bruttine le città (alcune di esse) di medie dimensioni, Uddevalla, Växjo,
Halmstad
La Svezia vera,
quella suggestiva, luminosa, immersa nei propri boschi, mari, coste, rocce è
quella dei piccoli paesi e villaggetti....le città svedesi sono l´aspetto
funzionale della questione, servono a comprare, a mettersi in fila davanti al
Bancomat, e a dare un asilo ai nuovi svedesi - agli immigrati.
E allora Stoccolma
è assediata da casermoni che sarebbero a proprio agio anche nelle banliues
parigine (o per essere meno chic, al Gallaratese...) e l´elemento multietnico è
ben presente in centri cittadini e grossi agglomerati commerciali (gli stessi
negozi, il grande parcheggio, sempre gli stessi capannoni, i medesimi
fast-food).
E per l´elemento di
tensioni sociali basta recarsi al Sytembolaget,
il monopolio di stato che vende alcol (dal Lunedì al Venerdì) con il suo
corollario e contorno di persone che sostano davanti alla vetrina:
l´alcolizzato di lungo corso, il "punk con cane" (punkabbestia, si
chiamerebbe no?)....il giovane multidipendente...
Insomma la città é
indubbiamente elemento di forte suggestione, polarizzante, in contrasto con la
- ma anche in aggiunta alla - campagna, alla cittadina di mare con le sue case
rosse o gialle, la griglia e la bandiera in bella vista.
Come dire? Possiamo
fingere che qui davanti alla costa abbrustolendo salsicce vada tutto bene e
nulla ci possa toccare, ma poi ci dobbiamo andare a far la spesa o in ufficio e
potrà capitare che il nostro biondo bimbo ci chieda chi sono quelle signore che
tengono la faccia coperta da un velo nero o chi abita in quei palazzi alti
venti piani che si vedono tetri dall´autostrada
L´elemento scatenante/ il motivo vero
Ho l´impressione
che come e più di JFK, l´assassinio di Olof Palme abbia suggestionato e spinto
all´azione molti scrittori svedesi.
D´altra parte tale
evento "sensazionale" ben si ricollega anche al tema del paradiso
perduto. Non è tutto così bello e pacifico come credete voi: o europei
continentali. Noi abbiamo i nostri scheletri nell´armadio, le nostre indagini
insabbiate, il nostro JFK.
E proviamo a
spiegarvelo sotto forma di giallo: il complotto, la guerra fredda, ma anche: l´inefficienza
della polizia e i suoi strascichi. L´elemento politico. Ma ancora: l´elemento
suggestivo/ geografico: i luoghi di Stoccolma dove è accaduto, la fuga
dell´assassino, il suo far perdere le tracce, il teorema del lupo solitario
(Lee Harvey Oswald ringrazia).
GLI AUTORI
Come ogni filone
che si rispetti, lo sfruttamento commerciale intensivo ha portato a stampare
davvero una pletora di autori. Non semplicissimo stare dietro a tutto, e la
necessità di aggiornare e aggiornarsi rimane, detto questo credo di aver
identificato alcune sottocategorie attraverso le quali provare a fare un po’
d´ordine
1) Il capostipite e i suoi seguaci
2) L´antagonista
3) Gli americanizzati
4) Gli Outsider
IL CAPOSTIPITE E I SUOI SEGUACI: MANKELL E DINTORNI
Mankell,
certamente. E il suo Wallander. Insomma, si deve a lui il rilancio anzi forse
il vero lancio internazionale del genere. Da Mankell sono partite alcune
tendenze – alcuni archetipi se vogliamo – che poi hanno caratterizzato un po’
tutto il giallocheviendalnord.
Non tutto
originalissimo, chiaro. Ad esempio la figura del detective per niente eroico,
umano e imperfetto non è mica invenzione dello scrittore di Ystad. Ma suo
merito (per chi ama il genere) è aver accostato i diversi elementi costituenti
del genere.
La costruzione
lenta, paziente, quasi circolare della trama – un qualcosa che i detrattori del
giallo svedese trovano credo irritante – ma che per gli amanti dello stesso
sono elemento ormai necessario, perché costruire lentamente la trama significa
soffermarsi sui personaggi, sulle ambientazioni, e far sì che il libro diventi
pian piano - sottotraccia – un fedele compagno di viaggio.
Poi l´elemento
sociale e politico. Insomma quello che si diceva prima: non siamo perfetti, noi
svedesi, possiamo sembrare tutti biondi, distinti e sorridenti ma c´è del
marcio anche qua. E chi poteva vederlo meglio di Mankell, dal suo osservatorio
di Ystad - città della Scania (che alcuni svedesi – quelli del Nord –
considerano quasi non-Svezia, pressoché Danimarca) e anche città di porto, di
confine, di collegamento con l´est, e quindi di immigrazione e contrabbando.
E ancora: la
scrittura piana, certo non toccata dal genio ma di grande mestiere, che
peraltro occorre riconoscere allo scrittore anche quando esula dal personaggio
principale. E poi: un ironia soffusa, quasi amara, credo tipicamente Nordica,
soprattutto rivolta verso se stessi, verso gli svedesi, la polizia, i politici.
Questo é Mankell,
questo é Wallander, e insomma senza di lui – credo – senza il suo successo,
certi stimoli, certe tendenze, certe scritture avrebbero fatto più fatica ad
affermarsi e la storia di questo genere avrebbe potuto essere differente.
Va da sé che chi
più si é appoggiato allo stilema Mankelliano ha rischiato (e rischia) di
peccare di scarsa originalità ed essere bollato – come infatti sto per fare –
con il titolo di seguace.
Si distinguono
dagli altri in questa categoria a mio parere Arne Dahl e – tra le numerose
interpreti al femminile – Liza Marklund.
Il primo ha
evidentemente ritenuto troppo ingombrante il confronto con il personaggio-
simbolo Wallander e quindi al commissario unico ha sostituito l´invenzione del
Gruppo A. Essendo appunto un team speciale e semi-clandestino all´interno della
polizia di Stoccolma, va da sé che l´elemento internazional/complottistico è
ben presente già per principio (anche se poi non conclude e non risolve tutto,
visto che talvolta gli si sostituisce o affianca un elemento latamente
demoniaco/maniacale per presente ad esempio in S.Larsson).
Per il resto molte
similitudini: costruzione lenta della trama, ironia soffusa, attenzione alle
ambientazioni. Il tutto fatto bene, ma meno emozionante, meno “necessario”
rispetto a Mankell, sostanzialmente già in partenza più “seriale”. E peraltro
in netto decrescendo di tensione e qualità dopo i primi due-tre libri.
Considerazioni non
troppo dissimili per la Marklund, che naturalmente si appoggia su un
personaggio femminile, mischia le carte facendole vestire il ruolo e la
professione della giornalista, ma per il resto aderisce con grande fedeltà (e
secondo me con minore talento) agli stilemi prima delineati.
L´ANTAGONISTA – LEIF PERSSON
Beh, ho appena
nominato Leif Persson antagonista e andrà illustrato perché.
Il primo motivo è
che nei suoi romanzi ho trovato - creduto di trovare - vere e proprie frecciate
(neppure troppo nascoste) dirette a Mankell e ai suoi "poliziotti da
romanzo" (citazione semi-testuale). Al contrario Persson (che non
dimentichiamo è criminologo e collaboratore vero della polizia) insiste spesso
sui suoi "veri poliziotti" ma soprattutto (con lentezza che alcuni
lettori – perfino quelli avvezzi al genere - potrebbero trovare esasperante)
sugli incagliamenti e le difficoltà reali di una indagine poliziesca.
Il messaggio latente
che Persson sembra mandare a Mankell riguarda proprio l´illusione di
quest´ultimo che un caso possa essere risolto, che insomma il poliziotto da
romanzo possa alla fin fine spiccare come l´eroe dell´ intuizione e della
quest, il vincitore della faccenda.
Paradossalmente uno
dei personaggi principali di Persson ovvero Lars Johansson é molto più
super-eroistico e macho di Wallander, ma in Persson i casi non si risolvono, o
si risolvono in maniera deludente, o si risolvono senza lasciare vincitori - fino
ad arrivare agli ultimi romanzi in cui Persson stesso monthypitoneggia il
genere facendo prevalere l´ironia e l´intento parodistico e inventando come
protagonista "quella disgrazia di Bäckstrom", un anti-eroe (in
qualche modo adorabile nella sua bassezza) oltre che pessimo poliziotto e
investigatore.
E cosa ha osato
Persson per terminare la serie con Johansson? Non voglio spoilerare. Ma una
soluzione certamente non convenzionale, e neanche Mankelliana.
Chiaro comunque il
nichilismo di Persson, rivolto credo contro ogni eroificazione e apologia del
lavoro poliziesco - e non a caso nei
primi e riusciti romanzi il punto di partenza (o di arrivo?) è il crimine
insoluto per eccellenza della storia svedese - l´omicidio Palme.
E´ tutta questione
di gusti: chi ama il giallo tradizionale potrebbe non apprezzare Persson,
specie gli ultimi romanzi, io adoro dei primi romanzi la struttura solida,
l´attenzione nella costruzione di ambienti e personaggi e il retroscena
politico (e penso peraltro che con il suo "In caduta libera, come in un
sogno" Persson sia andato veramente vicino a descrivere ciò che davvero
accadde nel caso Palme), nelle opere con Bäckstrim si fa magari un po’ fatica ad abituarsi
inizialmente ma poi accettato il gioco di rovesciamenti ironici e fatta
l´abitudine al personaggio principale, ci si diverte e ci si lascia
conquistare.
E poi siamo lettori
- per cui abbiamo pienamente il diritto di apprezzare il capostipite e il suo
antagonista, no?
GLI AMERICANIZZATI – CONTIENE STIEG LARSSON!
Allora, gli
americanizzati sono Stieg Larsson e Jens Lapidus – e uno dirà, finalmente si
parla anche di Larsson, perché per molti magari il giallo svedese è appunto
solo Larsson .
Larsson, dicevamo:
ha sensazionalizzato il giallo svedese, ha alzato i ritmi, ha colto alla
perfezione il valore della serialità, ha inventato un personaggio ad alto
contenuto virale come la Salander, ha inserito elementi di thriller alla
Silence of the Lambs - detto questo, ha anche mantenuto un personaggio
principale non convenzionale (seppur nel corso della trilogia si super-eroizzi
parecchio), una costruzione attenta di trama e ambienti, un solido ancoraggio
alla storia ed economia svedesi.
Non stupisce
insomma il suo successo, superiore a quello di tutti gli altri scrittori, proprio
perché Larsson ha "commercializzato" (non lo dico in senso negativo)
il genere.
Dal punto di vista
qualitativo peraltro il primo capitolo della trilogia con i suoi elementi
sulfureo-demoniaci (che si coglie nelle manie e tare psichiche dei personaggi
della famiglia) è secondo me tra i vertici qualitativi del giallo svedese -
mentre gli altri capitoli sono semplicemente divertenti ma meno compatti dal
punto di vista della tenuta della trama, del realismo delle situazioni (non che
a un giallista si chieda poi particolare realismo, ma alcune forzature si
avvertono...)
Chiaramente la
morte di Larsson ci impedisce di capire se si sarebbe andati verso una e- o
verso una in-voluzione della storia. Mia previsione: sarebbe stato soprattutto
sviluppato il personaggio di Lisbeth e chissà a un certo punto magari avremmo
assistito a uno spin-off.
Non sarebbe
peraltro stato facile per nessuno proseguire l´opera dello scrittore, ed
effettivamente David Lagecrantz nonostante l´impegno ha fatto una figura
abbastanza magra. E al di là dei fan, secondo me l´interesse per il
proseguimento apocrifo andrà a spegnersi.
Lapidus, che è
giovane ed è pure un bel ragazzo deve ADORARE Ellroy, e soprattutto in questo
senso lo trovo americanizzato; cito me stesso (bel presuntuoso) e come ho
commentato il suo "La traiettoria della neve" su IBS
Il riferimento di
Lepidus sembra Ellroy e il suo ritmo spezzato, le sue frasi corte, i suoi
personaggi ambigui, mai completamente dalla parte sbagliata (o giusta). Secondo
me divertente e azzeccato, seppur parliamo chiaramente di un prodotto di
intrattenimento.
Manca un po’ la
costruzione lenta e attenta della trama che è una caratteristica precipua del
giallo svedese. All´attivo però descrizioni iperealistiche e in qualche modo
"nuove" - ovvero da una prospettiva giovanile -di Stoccolma, delle
sue periferie, delle sua vita notturna.
Ripeto: scrittore
di intrattenimento, ma chi apprezza il genere lo provi
GLI OUTSIDER – LA GRANDE N (Nesser e Nesbo)
Su Nesser posso
dare un giudizio solo parziale, ho letto di lui solo "Una donna
segnata" e non posso che definirlo outsider visto che in primis la serie
di Van Vetereen non è ambientata in Svezia.
I romanzi di Nesser
sono mediamente più brevi di quelli degli altri scrittori citati, per cui
brevità = minore possibilità di creare quel lento moto ondoso nella costruzione
del romanzo che ho già citato (fino alla noia, almeno mia)
Nel romanzo da me
letto, peraltro il personaggio principale aveva pochissimo spazio tanto da non
averne captato appieno la personalità.
Tutto sommato mi
verrebbe in mente Simenon, come principale riferimento associabile a Nesser. ma
ho chiaramente necessità (diciamo così) di leggere altri romanzi per
migliorare l´inquadramento.
Su Nesbo direi che
il suo essere outsider nell´ambito del giallo svedese, deriva fondamentalmente
dal fatto di non essere svedese.
Però devo citarlo
lo stesso, intanto perché Oslo è ad appena 50 chilometri dal confine con la
Svezia, inoltre Nesbo si nuove su direttive molto simili a quelle che
accomunano molti degli scrittori fin qui citati, dal personaggio principale
umano troppo umano (in questo caso al confine del loser), al retroscena
politico (e teniamo conto che Norvegia non è stata neutrale), alla lunghezza
dei romanzi e quindi la possibilità di costruire trame ad orologeria con il
dovuto tempo e spazio.
E una cosa su Nesbo
devo dirla: è il più rock del gruppo, e secondo me anche il miglior scrittore.
I suoi primi romanzi pubblicati in Italia (Il pettirosso, Nemesi, La stella del diavolo) sono i più forti e
compatti, ma tra qualche alto e basso il norvegese riesce a tenere alti livello
e tensione. Anche lui però sta lentamente distaccandosi dal suo personaggio
principe – il mitico indistruttibile
Harry Hole – e diversificando con romanzi “a parte” e una
nuova serie inaugurata con Sangue e neve.
UNA PANORAMICA COMPLETA?
Ma no: si tratta un
primo orientamento. Mancano alcuni autori che ho letto ma che ho reputato
puramente derivativi e commerciali (vedi Camilla Läckberg).
E stanno
continuando a uscire cose molto interessanti che da qualche parte andranno pur
collocate esempio Tamas Gellert e il suo Uomo Laser (una storia vera,
peraltro).
Ma come dire, mi
andava di sistematizzare un po’ la mia visione del genere e spero di essere
stato utile a qualcuno.
APPENDICE 1 – LA VECCHIA ATTUALE SCUOLA
Giusto: non parli
di giallo svedese se non hai letto Sjöwall e Wahlöö – il loro ciclo di 10
romanzi con protagonista l´ispettore Beck, recentemente rieditati con molta
cura da Sellerio in 3 differenti volumi.
Mi sono cimentato
con i loro primi romanzi (meritoriamente ci sono tre bellissimi volumi di
Sellerio che ne racchiudono la produzione, con tanto di saggi a cura di molti
degli autori già citati) e diciamo che in estrema sintesi si capisce dove
Mankell e Persson abbiano imparato il mestiere.
La costruzione
lenta e certosina della trama – quasi a voler ricalcare il lavoro vero del
poliziotto, un lavoro di indagine lontanissimo da quello descritto in certi
thriller all´americana, appunto lento, preciso e (ma si) frustrante.
E poi: il
protagonista antieroe, il senso della squadra e del team, il „cattivo“ (almeno
in Roseanna, il primo romanzo) ordinario e un po´noioso. Chiaramente la Svezia
degli anni ´60 e ´70 era diversa nelle problematiche rispetto a quella che compare
in Mankell e in Persson, ma rimane un diffuso senso di cupezza, di depressione,
come se il paradiso e la felicità fossero vicinissimi e allo stesso tempo
impossibili da cogliere. Ed ecco: non so come, ma sono storie che suonano
tutt´altro che datate. Mi sento di consigliarle.
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