FASCINO DEL MALE
Marcel Jouhandeau è un autore direi ideale per le rubriche "scrittori da riscoprire" ma secondo me anche molto adatto ad essere usato come termine di paragone, ad esempio, perché leggiamo (che so: Camus, Houellebecq, Celine) mentre un genio come Jouhandeau è dimenticato (dagli editori, dal pubblico, dai critici)? Bene, nessuna delle due cose sta nel mio stile, ma fatto sta che si tratta di uno scrittore singolare e singolarmente dotato, e che in Italia troviamo (quando la troviamo) una frazione molto piccola della sua produzione. Prendendo in considerazione quello che c'è, Il cadavere rapito (parte dell'ideale ciclo di Chaminadour, nel link potete anche leggere qualcosa sugli eventuali motivi per cui Jouhandeau è piuttosto dimenticato e impopolare) e questo Tre delitti rituali mostrano uno scrittore molto dotato, un ottimo stilista ma anche direi un autore "di visione", in grado insomma di sollevare interrogativi etici importanti e di scavare (in maniera letterariamente efficace) nelle oscure e affascinanti terre del male, tirando fuori cose che forse non si vorrebbero vedere, sapere, percepire.
Il cadavere rapito è una novella di impianto piuttosto classico ma di riuscita non convenzionale, Tre delitti rituali è quello che oggi chiameremmo reportage narrativo, tanto che forzando un po' (molto) la mano potrebbe venire in mente La città dei vivi di Nicola Lagioia. Jouhandeau segue da reporter, da inviato speciale (forse anche di se stesso), da ospite o spettatore dei relativi processi, le vicende dei tre crimini descritti, che avevano scosso la Francia dei tempi e che combinano una particolare efferatezza (su cui Jouhandeau non glissa, ma che viene utilizzata in modo funzionale alla narrazione) con un forte elemento di interrogazione morale ma direi anche metafisico (per esempio: la funzione della giustizia, il senso e la "misura" delle sanzioni) e con quello rituale del titolo. Soprattutto nel terzo caso, quello del parroco di Uruffe, l'ambiente religioso dove si è sviluppato l'orrendo delitto permette a Jouhandeau, cattolico problematico, di volare molto alto ed elaborare sui temi di religione, fede, giustizia divina e terrena e anche su quello ancora più universale del motore o dei motori delle azioni umane (che miseri, gli umani).
Il libro è, seppur breve, molto potente (e doveva esserlo ancora di più se letto in prossimità di quei tempi dove i delitti erano ancora caldi) e molto ben commentato nella postfazione di Ena Marchi. Ovviamente non è ideale poter leggere uno scrittore tanto personale ed articolato in maniera così destrutturata, saltando da libri molto diversi e in qualche modo "decontestualizzati" rispetto alla maniera in cui erano stati concepiti e a quella in cui convivono nell'opera omnia dell'autore. Ma in attesa di altre pubblicazioni, prevalgono sicuramente i motivi per non traccheggiare, non perdere gusto della scoperta e soddisfazione, e leggere comunque Johandeau.
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