L'ASCOLTO RIBALTATO
Quella di Rachel Cusk è la Trilogia dell'ascolto, e Deborah Levy fa invece l'Autobiografia in movimento, della quale Cose che non voglio sapere è il primo capitolo. Le accostiamo per la forma (tre libri, ragionevolmente brevi), l'area di provenienza letteraria e il contenuto autobiografico-sperimentale delle rispettive opere. E certamente per l'impatto sulla critica e sul pubblico.
Di solito a questo punto si dice: ma qui si fermano le analogie, cosa anche abbastanza ragionevole da affermare, visto che l'opera della Levy è volutamente e direi dichiaratamente autobiografica (molto meno e in questo senso più ambigua la Cusk), ma arriveremo presto a considerare anche qualche aspetto similare delle due scrittrici (che poi questa mania comparativa da dove viene? Forse è una malattia).
Quella ritratta all'inizio del libro è una donna in un momento di stasi e difficoltà, forse di depressione, di inerzia invalidante, che si traduce in un tentativo di rompere il cerchio attraverso un viaggio. Un incontro (uno tra diversi) le darà poi modo di parlare del suo passato sudafricano e dell'arrivo in Europa, prima di tornare molto brevemente ai tempi nostri. Siamo nei territori dell'autobiografia creativa fatta di squarci, ragionamenti, strutture mai molto rigide. È però vero che la parte sudafricana e poi inglese potrebbe essere un ottimo romanzo di formazione (una novella diciamo, conclusa in sé). La Levy è brava soprattutto a utilizzare questo tipo di non-strutture e di istanze (che richiamano peraltro il saggio Why I Write di Orwell, in un modo che forse vorreste scoprire da soli o al contrario andare a spulciare all'asterisco spoileroso*) narrative senza slabbrare, annoiare, dare la sensazione di raccontare i fatti suoi o di avere finito l'ispirazione per la fiction. Questo è buono e a volte molto buono. Se in Cusk ci troviamo di fronte, come sappiamo, a un'identità collettiva e in cerca di ascolto, qui quella di chi conduce la storia è identità singolare ma smarrita e franta, ed è bisognosa di farsi ascoltare (similitudini nelle differenze, o viceversa). Procedimenti diversi quindi, ma entrambi piuttosto sperimentali ed entrambi alludono a una crisi e a una frammentazione dell'io, certamente con conseguenze stilistiche e narrative, anche qui, diverse. La depressione viene spesso descritta con l'idea, la sensazione, il disorientamento di osservarsi dall'esterno.
Non sopravvaluterei particolarmente il contenuto ideologico del libro (ho visto sottolineati gli aspetti di femminismo e critica del patriarcato), ma è una qualità della scrittrice, una scrittrice di qualità e di questi tempi è brava a parlare di condizione della donna senza troppo andare su schematismi politici.
Non so dire, da lettori in italiano, se siamo privilegiati o svantaggiati nel trovarci di fronte alla trilogia fatta e compiuta, arrivata da noi praticamente tutta insieme a qualche anno dalle uscite originali. La terminerò sicuramente, penso che se avessi letto questo libro nel contesto in cui è uscito, mi aspetterei che ne uscisse presto un secondo, per cui, urra!, cambia poco o niente. Lo leggerò (anche il terzo).
*semplice: i quattro motivi per scrivere che Orwell enumera, diventano qui i titoli delle sezioni del libro
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