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LIBRI E TEMPO DI BILANCI. IL MEGLIO DEL 2023

LISTE E BILANCI


Libri Top 2023


Quest’anno ho riflettuto molto se (e in quale forma) pubblicare la mia lista dei migliori libri del 2023, se partecipare a questo rituale trasversale, che attraversa la conversazione letteraria dall'alto (i supplementi dei quotidiani, le riviste online o cartacee) al basso (i singoli blogger individuali), dove le parole alto e basso non vengono ora e da me declinate in senso qualitativo ma quantitativo, perché ha un peso il voto di un’intera redazione e uno diverso la lista personale di un singolo lettore (possiamo immaginare e anzi assumere che nel primo caso vengano considerati più titoli, mentre il “listino” letture di ognuno di noi è per forza di cose più limitato).
Proprio da qui nasceva il mio dubbio: se leggo 60-70-80 libri all’anno, di cui 30-40 novità, ha davvero senso eleggere i top partendo da un campione tanto piccolo? Se poi tra questi vado a cercare quelli che vengono per forza di cose proposti come libri-evento (che so, i McCarthy, gli Ellis) non starò creando un’ulteriore stortura nella selezione dei titoli?
Alla fine mi sono risposto che la lista dei top presenta in ogni caso alcune storture, ad esempio la rincorsa alle grandi novità è di fatto collettiva, e in effetti McCarthy sta in testa a quasi tutte le classifiche, e alcuni titoli sembrano appunto “obbligatori” (e non dico che non vi sia merito) e allo stesso tempo è chiaro, evidente, empiricamente provato che più si va in alto più troveremo i "nomi" e i grandi editori (guardate i ranking di Lettura e Robinson) mentre spostandoci verso la rivista o il blog individuale vi sarà più spazio per cose diverse e piccola editoria.
In altre parole e comunque lo si veda, qualunque sia la fonte, è un gioco, con tutte le qualità e i limiti dello stesso, ed è un gioco al quale partecipo, ma più che la meccanica lista dei top, mi piace parlare di un “bilancio”, un bilancio del mio anno da lettore, riferito alle novità dell’anno stesso (perché il gioco secondo me è più divertente in questo modo), provando anche a fare qualche considerazione sul contesto nel quale questo si è svolto.
 
Mi pare ad esempio che nessuna delle grandi-uscite-evento dei grandi scrittori (Auster, McCarthy, Ellis) costituisca un capolavoro assoluto e neppure un vertice della produzione dello scrittore stesso, farei un’eccezione per Amis, che infatti nel bilancio non è presente, e non lo è per due motivi: intanto il libro è del 2020, e per un caso della vita o della sorte scrittoria lo vediamo come un suo “testamento” perché tradotto in Italia in concomitanza con la sua morte. L’altro motivo è personale: Amis è forse (di sicuro) il mio scrittore contemporaneo preferito, e se a questo aggiungiamo il fatto emozionale (la morte, la consapevolezza che salvo sorprese di lui non leggeremo nient’altro di nuovo), vorrei dedicare a lui un discorso a parte che proverò a fare parlando del suo libro. Diciamo un premio alla carriera, e non me la sento di considerarlo “alla pari” degli altri libri facenti parte della mia lista/bilancio (dovrei metterlo al primo posto del 2020 e allo stesso tempo di quest’anno, ragionando per estremi).
 
Eppure il vincitore (se di questo possiamo parlare) è pure lui un grande scrittore, e non viene considerato libro evento perché Ian McEwan ci ha abituato a uscite regolari (non ci ha messo davanti insomma a particolari e struggenti tempi di attesa), ed ecco che, pur non essendo neppure per lui un vertice, considero Lezioni (Einaudi) il miglior libro del 2023. Un romanzo tanto tradizionale da essere a tutti gli effetti “conservatore”, il parallelo tra storia individuale e quella convenzionalmente chiamata “Storia con la S maiuscola”, la cura dei personaggi, l’andamento rigorosamente cronologico, pur con un’attenta selezione di flashback, la riflessione su memoria, morte, amore, lo stile (sommo) dello scrittore, eppure o proprio per questo ha avuto l’effetto di farmi “annullare” nella sua lettura, rimuovendo quel tanto di analitico che un lettore avveduto a volte porta con sé (in pratica, ero al 100% o quasi, lettore, e allo 0% blogger/critico – critico in senso lato). Un gran bel romanzo.
E qui ho creato una distorsione, nel mio bilancio; proprio perché il “vincitore” è un libro molto tradizionale, volevo dare spazio anche a (bei) libri che lo fossero meno o che lo fossero ma provenissero da voci non tanto consolidate come quella dell’inglese. 
Per cui, seppure il “merito” dei libri che sto per nominare sia pari, ad esempio, al bel Baumgartner di Auster o al Passeggero di McCarthy, preferisco includere qui due “outsider”, il primo dei quali è, direi, un romanzo tradizionale ma di una voce nuova, ovvero Gli ultimi americani di Brandon Taylor (Bollati Boringhieri). Montaggio parallelo, intersezione di storie (quasi un romanzo di racconti), universo tematico solidamente classico (amore, sesso, futuro, gioventù, destino), stile composto e altrettanto classico seppur vivace e non ingessato, ma lo scrittore è giovane e l’ambientazione è in un mondo universitario dove quasi tutti i personaggi sono gay colti e promiscui sessualmente, una sorta di attualizzazione di certi romanzi di Malamud o Cheever, e non ho speso a caso questo paragone.
Il secondo è Uno Schock dell’irlandese Keith Ridgway (BigSur) che è un non-romanzo non-tradizionale, in effetti il termine romanzo di racconti mi pare qui adeguato (seppure alcuni personaggi si ripresentino e ci siano quindi dei collegamenti tra le singole parti), lo stile è andante e moderno (con uso di gerghi e slang e talvolta un dialogato quasi cinematografico), l’approccio realistico ma con svolte nel surreale o nel magico, in quarta di copertina si fanno paragoni con il Finnegans Wake ma a me sono venuti in mente Amis (sempre lui) e Welsh. In ogni modo, un gran libro passato mi pare inosservato – ancora di più di quello di Taylor.
 
Mi sono tenuto ancora due titoli, non pretestuosamente ma per dare conto di una certa “ampiezza” nell’universo da me considerato. Se parliamo di non-fiction, il mio campione è V13 di Emmanuel Carrère (Adelphi), un libro che mette secondo me il francese sullo stesso piano dei grandi scrittori/reporter-storici del passato e che forse potrebbe meritare il primo posto assoluto per acume, profondità nella sintesi, humour, ma mi sarebbe sembrato troppo mettere come vincitore quella che è fondamentalmente una raccolta di articoli usciti in forma giornalistica.
Vista la mancanza di italiani fin qui, pur sottolineando che anche per la narrativa del nostro paese non mi è sembrato anno particolarmente rigoglioso, cito come mio “beniamino” Solo vera è l’estate di Francesco Pecoraro (Ponte alle Grazie), libro (forse) inferiore a quello che viviamo come l’elevato standard dello scrittore (in particolare il clamoroso esordio con La vita in tempo di pace), ma comunque superiore agli altri da me letti nell'anno, e formidabile nel riprodurre una serie di tic e atteggiamenti e disillusioni generazionali.
 
Non mancherò di ampliare il discorso sui singoli libri con le recensioni che avevo messo in stand-by (la soggezione della lista, in un certo senso / il bisogno di sistemarmi le idee), per il resto, dedichiamoci finalmente a un nuovo anno editoriale.

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La classifica in sintesi

3) Keith Ridgway - Uno Schock, traduzione di Federica Aceto (BigSur)
2) Brandon Taylor - Gli ultimi americani, traduzione di Francesca Manfredi (Bollati Boringhieri)
1) Ian McEwan - Lezioni, traduzione di Susanna Basso (Einaudi)

Saggistica: Emmanuel Carrère - V13, traduzione di Francesco Bergamasco (Adelphi)
Italiani: Francesco Pecoraro - Solo vera è l'estate (Ponte alle Grazie)

Commenti

  1. Inserirei nella lista R4, e la ricreazione è finita ciao e grazie pio ciampa

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