RIVEDERE IL MONDO
Ballate di Lagosta, edito da Donzelli nel 2022, è l’ultimo libro di poesie di Christian Sinicco. Il tema portante della raccolta è il confine, percepito in una duplice ottica: frattura e cesura da un lato, come «le rarefazioni incistite dei Balcani/ripagano il cielo sempre più rosso» (p.14), possibilità di apertura, inclusione e permanenza dall’altro, «la facilità degli slavi a recuperare strutture/metrica del parlato» (p.16), «non so/posso credere/solo a un taglio immenso, /un segno in più nei piedi, la testimonianza di un’apertura» (p.16). Questa valenza e oscillazione è incarnata dall’immagine della bambina stupita posta «al centro della storia» (p.16) e rappresentativa di Trieste, dei Balcani, di quelle «Fratture d’Italia», a voler citare John Foot, mostrate attraverso la processione, termine che va inteso anche o soprattutto come derivazione, origine e, per esteso, migrazione di figure, popoli, nomi propri, spostamento e attraversamento dei paesaggi: «siete voi questi sogni che pensano l’esistenza/le idee e poi il sole gela questo rituale/sui vetri e le inferriate» (p.19); «la cecità decisiva – abbiamo bisogno di un chiaroscuro/di lasciarci perdere affinché i nostri nomi scendano con le bouganville/di non accorgersi che questo blu è l’istinto morte che ci sovrasta». (p.23)
Lo sguardo dell’autore oscilla tra visione disincantata e stupefazione per il bello «come un’ascensione/nella gioia» (p.86) che la coscienza del conflitto storico e umano permette all’io di esperire, anche quando si ritrae, chiudendosi in se stesso, in quella vicinanza «a tutto ciò che è finito, compiuto» (p.35); al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare da un libro che si regge sulla rappresentazione del conflitto e del confine, l’io non è fratturato e frammentario, ma auto-cosciente, razionalmente presente alle derive della storia, «come un’aorta spinge il sangue di Cristo tra tutte le capitali/e per un attimo credo che l’orazione duri tutta la mattina –/fissando le lapidi di pietra e i fiori avvolti dai giornali» (p. 24). Dal punto di vista stilistico, l’autore abbraccia la lirica, funzionale alla visione del mondo di cui sopra e atta a riportare il canto, la danza, la voce rarefatta dei senza nome che pure l’autore nomina – la forma della ballata è in effetti originariamente legata all’esecuzione musicale; il lessico accoglie tutti i realia possibili, la sintassi è prevalentemente ipotattica, il registro si mantiene alto-tragico in tutti i testi che compongono il libro.
Diversamente da quanto accadeva in Alter, edito da Vydia nel 2019, nel quale il movimento proposto dall’autore sembrava guardare a una realtà altra che duplicandola fagocita la nostra, in questo caso assistiamo a una totale immersione nel reale, che l’autore fotografa e registra quasi ossessivamente e talvolta dall’esterno, contemplando «la vita a cui stiamo pensando/che ogni tanto si avvicina» (p.57), «come se Icaro/fosse stato accatastato/nelle vicinanze di piccole palme da dattero/ed è un assolo,/ma non ne comprendo la distanza» (p.61).
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Di seguito, due testi tratti dal libro.
La cittadinanza di Ambroz
posso richiedere la cittadinanza del mondo,
eppure sono rimasto fino a mezzogiorno
a guardare lo specchio d’acqua del pozzo
e i fichi caduti dall’albero, rivestito dalla
brezza
di metà mattino e non ho avuto paura
di guardare dentro di me e sapere
che significato è quello di essere vicini
a tutto ciò che è finito, compiuto,
come il secchio tirato su
(p. 35)
V. Un taglio
tutto è un crollo in me
su questa riva muta,
ma migrerò nell’acqua
per ascoltare l’aria
e la luce sconfinata –
dove non sento ancora
se le funi siano state tirate
e le barche ormeggiate per il libeccio
non so, posso credere
solo a un taglio immenso,
un segno in più nei piedi,
la testimonianza
di un’apertura
(p.54)
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