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LIBRI E RECENSIONI. YANKEL-YAKOV WIERNIK - UN ANNO A TREBLINKA

IMPERATIVI

Fa male, quindi fa bene, proporsi di leggere regolarmente letteratura della memoria; può suonare retorico e banale l'imperativo di ricordare, di non dimenticare, ma se vogliamo sentirci originali possiamo combinarlo con quello di frequentare scritture necessarie in senso stretto, dove un aggettivo spesso abusato nelle recensioni assume un significato più pieno, e allora potremmo cambiarlo, questo aggettivo, e parlare di scritture doverose o imperative: l'imperativo di testimoniare.

Yankel-Yakov Wiernik è stato un testimone non scrittore. Lo è stato fino al momento in cui ha testimoniato e raccontato di Un anno a Treblinka, il suo anno a Treblinka. In quel momento colui che era stato un falegname, un deportato (dal ghetto di Varsavia), una vittima, un sopravvissuto è diventato un testimone ed è diventato - senza dubbio - uno scrittore. Quella dello scrittore è una questione stilistica e Wiernik decide di porgere al lettore il proprio reportage con lo stile semplice, essenziale, ma per nulla banale, con cui probabilmente porgeva ai clienti i propri manufatti (semplifico un po', in realtà Wiernik prima di essere deportato non svolgeva la propria professione ma aveva un ruolo amministrativo). Wiernik si dà un dovere di essenzialità e precisione nella descrizione di quell'anno tra il 1942 e il 1943, concluso con una rivolta, descrive ad esempio lunghezza, larghezza, altezza e configurazione tecnico-architettonica delle camere a gas - d'altra parte aveva contribuito a costruirle perché esse potessero sterminare tante persone del suo stesso popolo. E qualche pagina prima o dopo descrive - con commossa ma pudica essenzialità - le terribili torture e angherie alle quali i prigionieri erano sottoposti, e le morti atroci, e i pianti degli uomini, delle donne e dei bambini, e gli interrogativi che passavano nel viso di questi ultimi, i più innocenti tra tanti innocenti (pagine molto dure, quasi insostenibili se non tornando al dovere di partenza).

Credo che questa sia l'unica testimonianza scritta (scritta come libro) di un sopravvissuto a Treblinka, e possiamo pensare che su di essa Vasilij Grossman si sia ampiamente basato per il suo L' inferno di Treblinka. Grossman era uno scrittore, Wiernik no, ma la sua testimonianza colpisce non solo per quello che racconta, ma anche per come viene raccontato, per quella precisione artigianale che sottolineavo prima ma anche e ancora per la radicalità dei ritratti dei carnefici, ritratti vividi, agghiaccianti, eppure terribilmente umani (la perversione, la cattiveria, le cattive ambizioni sono umane) e di alcune pagine durissime nei confronti del popolo e della mentalità tedesche. 

Questa edizione è arricchita da una prefazione che contestualizza il libro di Wiernik sia nei tempi in cui fu scritto che in quelli del processo contro Eichmann, dove l'autore fu testimone, e una postfazione dove viene riportata la testimonianza stessa (un altro esempio magistrale del senso di sobrietà ed esattezza - encomiabile - di Wiernik): un libro breve e durissimo, una ottima cura editoriale, a supporto della memoria e degli imperativi.

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Informazioni sul libro

Yankel-Yakov Wiernik - Un anno a Treblinka. Con la deposizione al processo Eichmann
140 pagine
Traduzione/a cura di Livio Crescenzi, Silvia Zamagni (traduzione a partire dall'edizione inglese, non dall'originale yiddish) 
1885 Mattioli, 2021
Attualmente in commercio

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