DAL TETTO ALLA TELEVISIONE
Il presupposto su cui si reggono i testi della raccolta è il riconoscimento di una separazione netta, incolmabile, tra momento della percezione e restituzione verbale; da questo deriva un secondo aspetto, più tangibile del primo, ovvero, lo scollamento di un soggetto che dice io e che vuole stare al mondo, pur consapevole non solo dell’indicibilità di quest’ultimo, ma soprattutto e, in primo luogo, della mancata leggibilità dello stesso. Scrive infatti l’autrice: «la sede biografica/dell’autodeterminazione linguistica/ ronza nella sera tarda/attorno ai materiali/e alle varianti»; «che sono madre/di questo malessere/(dì le) lame nell’essere/una madressere poi, /non accudire, (poi poi poi poi)/nutrire/sa ancora»; «nonostante l’ora tarda, il non avere/ il dove andare (il dovere), questo liquido/ a(c)cura il corpo lo sgocciolare/copre una replica intera per collezioni»; «che strano modo/ di contare gli anni/e insieme perdere l’arto/della meraviglia»; «Reiterazione delle città sopra le stelle/dei nomi che vanno al rumore/del discorrere, a me il silenzio/del dispiacere».
Ne deriva una postura alto-tragica («(già)/un altro giorno/che non sono più»; «nessuna mano è tanto grande/da raccogliere, /o prender via»), un verso continuamente slogato («capire/ provvedere/ad avere fede/o continuare/a salutarsi»; «ventre aperto/largo/spazio»), un lessico capace di accoglie termini ed espressioni quali «tetto», «televisione», «coazione», il neologismo «madressere», «autodeterminazione linguistica», «galera», «treno», «attore linguistico», «stelle», «l’arto della meraviglia»; termini ed espressioni che cozzano solo apparentemente e coesistono e possono coesistere nel testo in virtù di una totale apertura alle manifestazioni dell’esistente. Quest’ultima non solo rende possibile la giustificazione ontologica, di cui è presupposto, ma soprattutto permette all’autrice di superare la separazione tra io e mondo, l’incomunicabilità (apparente) tra i due ambiti di indagine.
Sembra, allora, che proprio il sentimento tragico di cui l’io si fa portatore permetta allo stesso soggetto di mantenere uno sguardo lucido e, oserei, iper-razionale (nonostante o proprio in virtù della deriva irrazionalistica presente in alcuni testi) sulla realtà; un tentativo di sezionare la realtà decisamente riuscito, quello dell’autrice, specialmente quando (sembra) dissociarsene: «che chiedere sogni/è sfumare gli occhi/ i sogni (che) sono/e chiudere, questa, /è una/modulazione»; «ci metteranno in galera anche così, come siamo, /perché abbiamo perso l’ultimo treno»; «___ gli altri sapevano/che l’ingresso era cambiato/ (che) la portinaia fa come può/ ormai qui/ c’è/ l’affogare (/affiorare)»; «coazione sono i buchi/ sono le sirene/ possiedi_qualsivoglia_indicazione»; «Vale per tutti/voi. E tutti gli altri a terra avanti/indietro dal tetto alla televisione».
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Informazioni sul libro
Martina Campi - ( ) Partitura su riga bianca
80 pagine
Introduzione di Sonia Caporossi
Disegni di Francesco Balsamo
Edizioni Arcipelago Itaca 2020
Attualmente in commercio
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Valentina Murrocu (1992) è laureata in Storia e Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena. La sua raccolta poetica d’esordio, “La vita così com’è” (Marco Saya Edizioni, 2018) è stata segnalata al 33° “Premio di poesia e prosa Lorenzo Montano”, edizione 2019. Ha vinto la II edizione del “Premio Letterario Nazionale Gianmario Lucini” per l’inedito. Suoi testi inediti sono apparsi su Nuovi Argomenti, partage du sensible e Poesia del Nostro Tempo. Collabora con Poesia del Nostro Tempo e Recensireil mondo.
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