LA VICINANZA COMPLESSA DI CHI SI MACERA
Recensione di Valentina Murrocu
La raccolta “Urla la fine che pianta germogli” costituisce l’esordio della giovane poetessa Letizia di Cagno: il libro è uscito per Marco Saya Edizioni nel 2019, all’interno della collana “Sottotraccia”, diretta da Antonio Bux.
Ad aprire il libro sono tre versi («Vorrei dirti guscio/strafatto di polvere e strade/malassate.»), con i quali il soggetto già mostra la tensione tragica che attraversa i testi, offrendo uno spaccato del mondo la cui scoperta provoca straniamento, stupore, quando non vertigine: «ma ogni cosa è davvero in me?»; «Quanto mi tocca da vicino/ la scoperta del mondo!»; «L’assurdo/dei tronchi è che si stendono interi/nel loro avvenire.» Un soggetto frammentato, lacerato da un conflitto e, pertanto, diviso; eppure, i versi di questa giovane autrice ritagliano uno spazio per lo stare al mondo di questo io, che viene continuamente riaffermato mediante il gesto di prendere la parola. E, in effetti, il riconoscimento della propria e altrui fragilità («mi sono alzata con un’intenzione/grande perché morivo e volevo vedermi»), quella «vicinanza/complessa di chi si macera», passa, attraversandolo, per il momento nominativo, ancor prima che per quello gnomico-percettivo: ciò si evince, soprattutto, dall’insistenza con cui la poetessa nomina il proprio corpo («negli occhi un bus aperto/nella terra disordinata»; «Altre specie negli occhi sono impazzite»; «cercavi/una bottiglia in cui immergere il cranio.»; «i nei si attaccano ai soffitti») e dalla consapevolezza dell’orrore per l’esistenza, segnata come da una mancanza, una dimenticanza, uno strappo («Centimetri di ferita che cercano colore») difficile da ricucire.
La poetessa ci rivela, infatti, il conflitto tra mondo interno e mondo esterno, tentando, ciò nonostante, di conferire senso a quelle che definisce «insignificanze»; l’autrice parla, a tal proposito, dell’«atto di riconsegnare senso/all’impressione sfocata degli altri», in una continua tensione tra io lirico e ciò che gli è estraneo ed è oggetto della percezione: il mondo esterno, gli altri, i quali arrivano a rappresentare, anche, ciò mediante il quale il soggetto può schermarsi, rivolgendosi, talvolta, a un tu o a un voi che non rispondono alla chiamata o rappresentano un doppio del soggetto: «Io sono un improvviso sciame/che strimpella, ai piedi della tua dinastia/felice». Una tensione, quindi, un continuo avvicinamento alla terribile verità dell’esistenza che si svela «nelle dita di una nuova epica tradizionale», un gesto arcaico-sapienziale la cui genealogia risale ai primi filosofi (soprattutto Anassimandro e Eraclito) e che conduce il lettore a immedesimarsi o, perlomeno, ad avvicinarsi al sentire dell’autrice: «È un grande amore/la mancanza di amore. Adesso lo so. / Smetto di bruciarmi le dita/con tutto questo avere. /Poi rassereno voi tutti. Che amate. /E vi saluto.»
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Informazioni sul libro
Letizia di Cagno - Urla la fine che pianta germogli
Ed. Marco Saya 2019
68 pag.
Stampato in numero limitato di copie / fuori commercio
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