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LIBRI E RECENSIONI. GIULIO MOZZI - LE RIPETIZIONI (di Marta Aiello)

SE LA REALTÀ È UN SOGNO RICORRENTE




Recensione di Marta Aiello (Grazie. Breve nota biografica in calce)

Esce per i tipi di Marsilio Le ripetizioni di Giulio Mozzi. Noto negli ambienti per le indiscusse qualità di editor, a 60 anni e dopo 22 di gestazione l’autore esordisce con un romanzo che non ha niente di nuovo, ad eccezione della capacità di osare un immaginario di cui avremmo volentieri fatto a meno. A riprova del suo carattere di maniera, già l’incipit del romanzo in memoria di Proust e una teoria di movimenti e fughe e temi e richiami che vanno da Leopardi a Petrarca e Dante, da Carducci a Palazzeschi, fino ai recenti Barilli e Rondoni (solo per citare alcuni dei tanti italiani menzionati più o meno apertamente nel romanzo); e arrivano all’odierno Murakami, non senza passare dal Nouveau Roman, per culminare poi nella gustosa questione di Alonso Fernández de Avellaneda, autore del ‘falso’ Don Chisciotte della Mancia e dunque di una ‘ripetizione’. Che cosa sono del resto le opere letterarie, se non ripetizioni?

Niente di nuovo, si dirà: ci avevano già pensato Borges e le sue declinazioni italiane (Calvino, Eco, il Bufalino di Tommaso e il fotografo cieco, il Mari di Tutto il ferro della tour Eiffel), scrittori di romanzi postmoderni e labirintici, veri e propri palinsesti a citazionismo spinto. Operazioni di letteratura al quadrato dove, con tutta una sequela di scatole di Cina, il romanzo ne contiene altri e li evoca più o meno direttamente tutti, si fa condominio (vabbè Perec) e biblioteca: iperromanzo cioè.

E insomma, andranno ripetendo, questo romanzo mica è nuovo: la sua democratica volontà di porre sullo stesso piano la realtà e la sua fantasticazione, la memoria e il sogno, il suo masturbatorio ritmo d’altalena sono proprio una cosa già vista!

Manco questo è nuovo: il fatto che in questo ilarotragico romanzo non ‘romanzesco’, spazio e tempo siano portati al grado fortissimo della loro soggettivizzazione, al punto che noi lettori ci perdiamo insieme al protagonista in un cimitero-labirinto dove dei ‘fioracci’ di plastica con la loro ‘immortalità chimica’ sono una commovente roccaforte di resistenza alla morte; oppure entriamo in loop come la pallina impazzita dentro un flipper, continuamente rispediti al 17 giugno (che è tipo il ‘Via’ del Monopoli), bloccati dentro un incantesimo del tempo o un guasto del congegno narrativo che si inceppa e riavvolge il nastro di continuo; ma possiamo anche ritrovarci nello scompartimento di un treno, metafora del secolo trascorso che riduce tempo e spazio a pure intermittenze, ad ascoltare le divagazioni dello scrittore di questo romanzo, Mozzi, che scrive un romanzo dove c’è uno scrittore che scrive romanzi, che si chiama Mario, che sta leggendo Dance Dance Dance (un po’ ripetitivo, eh?), il romanzo di uno scrittore, che si chiama Haruki Murakami, un nome che è qualcosa fra un anagramma o un palindromo, come la struttura appunto anagrammatica e palindroma di questo ‘Le ripetizioni’.

Insomma, non si è capito che cosa racconta questo romanzo e non ci avete capito niente.

‘Ma andiamo con ordine’ (dice così l’autore, prendendovi per mano. Non fidàtevi, vi sta solo prendendo in giro):

C’è uno scrittore che si chiama Mario, un uomo senza qualità, il quale racconta (vabbè, ripete: il racconto è ripetizione), alcune scene della sua vita, mentre vive un presente fatto di altre scene della sua vita e che, da spettatore passivo degli accadimenti, si rende complice attivo di scene piene d’amore e di sesso spinto e felice come di scene piene di orrore e di sesso tristissimo, tutte sullo stesso piano. E il piano è la prona obbedienza di Mario consenziente e partecipe di raccapriccianti sevizie comminate a cuccioli, poco importa se sono di cane o di uomo perché sono comunque ripetizioni del corpo martirizzato di Cristo, incarnazioni di un mondo offeso che l’autore sceglie di rappresentare con scene di sesso e di abiezione (come non pensare a Le onde del destino di Lars von Trier). Un mondo senza giustizia che ben rappresenta Chi se lo è inventato e che è dunque a sua immagine: “Questa fotografia non mi dice niente di Lucia, mi dice tutto del fotografo che l’ha fotografata. Guardando la fotografia, a rigore, non si vede il fotografo; ma non si vede altro che il fotografo”. Popolato da un’umanità periclitante e caduca (non è mica un caso il richiamo esplicito a Petrarca), che cerca in vecchie fototessere una scolorita prova del suo passaggio su questa terra, questo di Mozzi è un romanzo d’inquietudini metafisiche, “caso o destino?” ripete continuamente questo o quel personaggio, che si/ci interroga sulle grandi questioni del libero arbitrio, della colpa, del Male che forse ha la faccia del ‘burattinaio’ Santiago, Dio veterotestamentario o Antico Avversario che fa della negazione della libertà, la radice del potere: “io non ho bisogno di scoparti, ma sono indignato per questa tua iniziativa di fare come se tu fossi padrone di te stesso.”

Siamo il peccato originale di Dio e il mondo è la sua balbuziente ripetizione, coazione a ripetere e reiterato scacco, siamo la sua espiazione. E però, com'è un mondo “dove non c’è più niente, dove c’è solo sparizione, il freddo, l’oscuro, il nulla?”

Mozzi ha scritto un romanzo teologico e così sia, ma che novità è? Rivisitazione stanca di un possibile Kafka, remake del Borges dell’Aleph e, l’autore questi non li cita ma come non pensare a Mauriac e Bernanos con quella loro coloritura così pascaliana: già detto, già scritto. Ripetizioni. Ripetizioni.

E però, e però. Questo romanzo non è mica solo un romanzo!

Erratico e digressivo come un Tristram Shandy, è un’officina a libro aperto su come si scrivono i libri che vale la pena leggere: “quei libri che oppongono una certa resistenza anche linguistica, come questo qui, li finisce sempre; quelli che non finisce, sono i libri che non offrono resistenza, le cui intenzioni si scoprono subito”.

Sia pure, ma cosa ci sarebbe di nuovo in un meta-romanzo, in un libro su come si scrive un libro? Dichiarazioni programmatiche a poetica implicita. Ripetizioni. Ripetizioni. Ripetizioni.

Con la geniale ed impeccabile orologeria di quest’opera che congeda definitivamente un’epoca, Giulio Mozzi ci consegna un romanzo epigonale: un gesto d'amore di uno scrittore italiano a tutto il '900.

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Informazioni sul libro
Giulio Mozzi - Le ripetizioni
Ed. Marsilio 2021
368 pag.
Attualmente in commercio

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Marta Aiello si è occupata di critica letteraria comparata italo-francese per conto dell’Université de Lorraine e attualmente insegna letteratura italiana e latina al liceo. Nel 2019 ha pubblicato il saggio La verità plurale: itinerario spirituale di Gesualdo Bufalino, in dialogo coi Francesi, ed. ARACNE; a Settembre 2020 è uscita la sua raccolta di racconti Stranieri a casa loro, Robin edizioni.

Commenti

  1. Ho provato a farmi piacere il libro: ci sono capitoli fantastici, ma la bilancia va n pareggio con quelli inutili e pessimi. Da evitare.

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  2. A ben vedere la recensione della Aiello sembra più tradire l'urgenza di sfoggiare riferimenti letterari novecenteschi, che un voler analizzare il testo di Mozzi. I problemi del libro non stanno certo nella metaletteratura o in quello che è già stato detto e tentato (cosa vera peraltro, ma pecca forse minore). Ci sono problemi di natura ben più profonda, ma ne parleremo fra pochi giorni, appena avrò tempo di postare una recensione.

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