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LIBRI E RECENSIONI. NICOLA LAGIOIA - LA CITTÀ DEI VIVI

LEOSINI O ELLROY

È successo così: è uscito La città dei vivi di Nicola Lagioia e la reazione dei lettori, di molti lettori che conosco e osservo, è stata entusiastica, quasi all'unanimità. Per cui si sono fatte strada in me due ipotesi, quella di un'allucinazione collettiva o in alternativa che il libro fosse realmente bello. Ora l'ho letto, e lo è. 

Lagioia mette qui insieme diverse cose, magari non tutte complicate da maneggiare, ma le mette insieme proprio bene, senza errori, pause e sbavature: ovviamente si parte da un fatto di cronaca ancora abbastanza fresco, l'omicidio Varani, e lo scrittore si muove con ottimi ritmo, rigore e profondità documentazione, quasi leosinianamente (e vuole essere un complimento, Leosini is the new Ellroy, e solo apparentemente sto provocando); ma da Lagioia ci si aspetta anche il romanzo forte, di idee, letterario, e allora ecco la riflessione sul delitto, che diventa anche riflessione ed elaborazione sul male e sulla sua presenza nelle vite normali, e qui l'autore è bravo a mettere insieme qualche pagina valida e non banale senza esagerare, senza cercare di spiegare tutto e senza necessariamente voler attingere a vette (o abissi) di significato, sottolineando anzi di avere problemi a ricostruire tutti i tasselli (non quelli fattuali, ma diciamo quelli di senso) della vicenda. E ancora Roma, maestosa, orgogliosa, immobile, marcia, rovinata, disperata (e d'altra parte citata nel titolo) si fa palcoscenico o quinta perfetta per la vicenda, di più: ne diventa co-protagonista, perfino con qualche forzatura. A Lagioia ovviamente fa gioco sottolineare la necessità che un delitto tanto insensato ed efferato sia accaduto proprio a Roma e proprio in questa fase di ennesima caduta di un impero tarlato, ma noi sappiamo che cose altrettanto raggelanti sono successe a Milano, a Cogne, a Novi Ligure*. Ma alla fine non importa realmente che in un romanzo o nella narrazione (anche) romanzesca di un fatto tutto sia perfettamente coerente e verificabile; basta che funzioni, e l'ambientazione romana, cupa, sudata, rumorosa, corrusca, lo fa. Forzatura per forzatura, lo scrittore ci mette in mezzo anche la propria autobiografia, e lo fa fortunatamente in modo light, quasi con pudore, con l'effetto di dire qualcosa di inedito su se stesso senza turbare gli equilibri del libro, solo rappresentandosi un poco sulla soglia di una di quelle porte girevoli che malauguratamente hanno detto male ai due protagonisti del libro.

La buona letteratura può avere alla fine armi piuttosto semplici: qui ci sono il ritmo e il rigore giusto, rispetto al precedente (e per me buono) La Ferocia Lagioia smussa qualche eccesso barocco nella lingua, affidandosi a un fraseggio fluido e ritmato, con le prime novanta pagine quasi asfissianti, ad altezze quasi ellroyane (quello vero, quello de I miei luoghi oscuri), si gioca bene, benissimo la carta della documentazione, e fa sentire forte la presenza del malvagio (quasi del demoniaco) con pochi mezzi, mirati sulla descrizione dei due assassini, e tutti onesti.

Ecco questo libro-romanzo-reportage mi pare profondamente onesto e profondamente ben fatto, privo di cali, di bieco sensazionalismo, di frasi fatte o di derive egotistiche. È difficilissimo fare previsioni a lungo termine, ma mi viene da dire che oltre a essere uno dei libri più forti della stagione letteraria 2020, fa pure l'impressione di essere uno di quelli che durerà nel tempo come - dopotutto - sta facendo anche la città dei vivi.

*un piccolo esempio di questa perdonabile forzatura, la descrizione del famoso fenomeno delle biciclette in "sharing" vandalizzate o buttate nel Tevere, dove Lagioia non resiste alla tentazione di prendere la cosa come esempio distruttivo di questa romanità violenta e decadente. In realtà il fenomeno si è ripetuto in molte città europee, anche in quella tedesca dove abito, e pare sia legatO alla crisi economica delle aziende che avevano lanciato il servizio arrivata subito dopo l'introduzione dello stesso, in pratica nessuno controllava che fine facessero le bici e la cosa è diventata presto di moda e virale dappertutto, tutto il mondo e paese, sperabilmente Foffo e Prato no.

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Informazioni sul libro
Nicola Lagioia - La città dei vivi
Ed. Einaudi 2020
472 pag.
Attualmente in commercio

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Commenti

  1. Cito dall'incipit della tua bella recensione (come altre, mi pare tu usi un registro molto "autoritario" - intendendo con la parola il senso di auctoritas latino, da augeo accrescere - non è un male perché così scrivi recensioni con un stile tuo unico): " [...] la reazione dei lettori, di molti lettori che conosco e osservo, è stata entusiastica, quasi all'unanimità. Per cui si sono fatte strada in me due ipotesi, quella di un'allucinazione collettiva o in alternativa che il libro fosse realmente bello." Allucinazione collettiva? Quanto bassa è l'opinione che hai sull'autore? Sono d'accordo su tutto quello che scrivi, ma la grandezza del carattere della citazione è troppo piccola: abbi pietà dei miopi-presbiti con le lenti multifocali :-)... e come sempre grazie, anche se ho già letto il libro, ma non ho espresso un giudizio se non in via telefonica. Buon anno, mio carissimo amico.

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    1. Quel pezzo che citi della mia recensione era un poco ironico, visto che alcuni sembrano criticare Lagioia per principio. Buon anno anche a te

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