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LE ANTICIPAZIONI. KENT HARUF - LA STRADA DI CASA. MARY MILLER - BILOXI. JAMES PURDY - COME IN UNA TOMBA

AMERICA DAL BASSO



Completo il quadro delle anticipazioni con tre libri che per questioni di spazio erano rimasti fuori dalle ultime, pubblicate qualche giorno fa.
Mi muovo in territori americani interessanti e libri ritengo piuttosto attesi visto lo status degli autori.

Il primo è Come in una tomba di James Purdy. Purdy è un grande scrittore di racconti, ad esempio quelli di Non chiamarmi col mio nome (sempre per Racconti edizioni, scuserete le ridondanze) sono sublimi, cupi, originali.
Come in una tomba esce ne Gli Scarafaggi, la collana di Novelle dell´editore romano.
Il titolo originale è In a shallow grave, del 1976. Si seguono le vicende di Garnet Montrose, reduce di guerra che torna sfigurato e si appresta a vivere ritirato i suoi ultimi anni, dovendo procurarsi un assistente personale che sbrighi le sue faccende.
I racconti di Purdy si svolgono spesso in interni, ritraggono di norma loser, personaggi segnati fisicamente o nei sentimenti, nella psiche, scavano in situazioni quietamente disperate e senza uscita. Mi pare anche questo il caso.
Qui l´incipit per farsi una prima idea

«Ora che hai lasciato l’esercito» mi aveva detto il capitano mentre mettevo le mani sui soldi del mio congedo, «ti sarà necessario quello che ai tempi di mio nonno si chiamava un maggiordomo o un cameriere. A meno naturalmente che tu non voglia sistemarti nell’ospedale dei reduci, ne avresti più che diritto… Ma avrai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te, ormai…»

Da quando sono tornato a casa, in Virginia, non ho più pensato a un maggiordomo o cameriere che fosse per circa una settimana. I primi giorni pensavo soltanto a quanti uccelli cantavano di prima mattina. Non avevo mai sentito un frastuono simile. Pensavo anche ai miei genitori che erano morti mentre ero in guerra, e pensavo a qualcun altro di cui parlerò tra poco. Sentivo una specie di rabbiosa soddisfazione, più che gratitudine, per tutti i soldi che avevo in tasca, senza contare quel che mi aveva lasciato mio zio, una rabbiosa o acre soddisfazione, dico, per il fatto che lo sapevamo tutti e due, il capitano e io, che non ci sarebbe stato né maggiordomo né cameriere, e neppure uno schiavo, disposto ad abitare da me, per non parlare di mangiare con me o di toccarmi, perché tanto vale dirlo subito, che in seguito alle ferite riportate in guerra nel Mare della Cina meridionale il mio aspetto è tale che chiunque ha il voltastomaco al vedermi e si mette a vomitare, se pure non sviene.


Proseguo con Biloxi di Mary Miller, per Black Coffee. La Miller, "cantrice" (come si suol dire) di un´america minore, tormentata, latamente disfunzionale, è già stata presente nelle librerie italiane con l´on-the-road di Last days of California e i racconti di Happy Hour.
Biloxi è nuovamente un romanzo; in cui apparentemente non succede molto, a partire dalla rassegnazione del personaggio principale, un uomo sessantenne, solo, apparentemente rassegnato, ai tempi dell´elezione di Trump (ma non credo sia un libro politico).
America dal basso, come scrivevo sopra, e situazioni ordinarie, post-carveriane mi verrebbe da dire (il post-, perché la scrittura della Miller non è minimalista in senso stretto).
Anche qui, l´incipit per fare la tara al tipo di scrittura. 

Quando vidi l’auto di Ellen, una Buick Regal di un blu scuro che lei definiva «zaffiro brillante», stavo andando da Walgreens. Mi feci prendere dal panico e girai a sinistra invece che a destra, finendo alla spiaggia. Non era una deviazione in senso stretto, però io in spiaggia non ci andavo mai. Mentre ero lì che cercavo di tornare su Pass Road vidi che alla cassetta delle lettere di una casa c’erano attaccati un paio di sonnolenti palloncini e un cartello con su scritto CANI GRATIS. E in men che non si dica mi ritrovai a scendere dalla macchina, mentre un tizio obeso mi veniva incontro ciabattando lungo il vialetto.

«Harry Davidson, infermiere diplomato» esclamò, con la mano già tesa cinque metri prima di raggiungermi.
«Louis McDonald, Jr.». Era la prima volta in assoluto che mi presentavo in quel modo, col suffisso. Mica male. Mi dava l’aria di uno che aveva ereditato qualcosa.
«È imparentato con Myrtle McDonald?»
«Non conosco nessuna Myrtle».
«Brava donna, frequenta la mia chiesa» disse. «Prepara un’ottima torta di carote. A lei piace?»
«Come no» risposi.
«Ho scoperto che a tutti gli uomini piace la torta di carote».

«Ma non mi dica». Avrei voluto rimangiarmelo, dirgli che in realtà non è che la torta di carote mi piacesse poi tanto, che era un dolce senza infamia e senza lode.

Infine, Kent Haruf con il nuovo-vecchio La strada di casa, uno dei primi romanzi dello scrittore americano, riportati il libreria da NN in Italia dopo il successo della trilogia di Holt. In originale il libro si chiama Where you once belonged, del 1990, viene quindi subito dopo The tie that binds (Vincoli), pubblicato dall´editore milanese nel 2018.
Anche qui la cittadina immaginaria di Holt fa da "scena", in questo caso alle vicende di Jack Burdette, personaggio che dalle prime descrizioni del libro appare piuttosto interessante (disonesto, inaffidabile, in qualche modo larger-than-life o come minimo broader-than-Holt).
È uno dei libri "rimandati" a causa del lockdown, doveva infatti uscire a Marzo ed è stato riprogrammato per metà Giugno, quelli che chiamo "libri della speranza". Sarà sicuramente tra le mie letture (anche gli altri due).


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