GLI IMPERDONABILI: UNA LETTURA CONCRETA
Da qualche tempo gira nel mondo letterario un nuovo movimento, quello degli Imperdonabili, partito da un´intuizione di Giulio Milani, editore di Transeuropa e talent-scout di esordienti ed emergenti; da qui attorno al movimento si è raccolta una congrega di scrittori, giornalisti e personaggi di quella che una volta si sarebbe chiamata "società civile", firmatari di un Manifesto letterario che è girato sui vari canali web e social ma, come vedete, è anche finito su un grande quotidiano nazionale, cosa che mi pare non succedesse da tempo con questo tipo di iniziative, perdipiù quelle partite dal basso.
I dieci punti del manifesto, che anche io ho firmato, mi sembrano interessanti e piuttosto concreti. Ma.
A partire da una riunione dei membri più attivi del movimento avvenuta a Roma, impresa che a me sembra degna di nota in questi tempi dispersivi, di continui eventi e promesse non mantenute, specie su Facebook mi è sembrato di assistere a un eccesso di teorizzazione nelle discussioni riportabili al movimento stesso. O, in altri termini, mi è venuto desiderio di avere esempi concreti di casi positivi e negativi di aderenza (o mancata tale) al manifesto. A me piacciono i libri, i titoli e i nomi.
Sono stato soddisfatto, e ospito questo intervento che partendo da recensioni già disponibili ma credo mai pubblicate in questa forma "unitaria" e sinottica mi ha dato un´idea molto più concreta di dove si vada a parare e quelli che potrebbero essere gli sviluppi futuri.
Per riassumere le opere considerate Imperdonabili sono Termomeccaniche di Luca Fassi (Transeuropa, collana Wildworld) contrapposto a Febbre di Jonathan Bazzi (Fandango) e un´opera non letteraria come The new Pope, la serie televisiva di Sorrentino, contrapposta all´ormai celeberrimo Colibrì di Sandro Veronesi.
Ma lascio spazio all´articolo, che mi pare chiarisca diversi punti, su cui si può essere d´accordo o meno, ovviamente. Altri saranno chiariti in futuro, ne sono certo e spero se ne discuta
Ma adesso, lascio la parola.
Fassi contro Bazzi, Sorrentino contro Veronesi: l'imperdonabile confronto tra precursori e Ancien Régime
di
Eugenio Chiara, Lorenzo Semorile, lettori
Il processo di creazione di una compagine artistica e letteraria è lento, oggi, perché nasce in un ambiente di per sé privo di stimoli e riservato all'orchestra
nazionale del Titanic.
Dal primo appello, comparso su “il Fatto Quotidiano” del 21 novembre e rivolto a portare solidarietà a un autore, un critico, silenziato per la stroncatura a un libro dell'élite, l'oscillazione
intellettuale anziché perdere potenza ha prodotto un'onda che si traduce in dialogo e che trova la sua prima azione concreta nel Manifesto letterario pubblicato lo scorso 27 gennaio.
Il percorso degli Imperdonabili, cominciato da una stroncatura mal digesta, supera i nomi e cognomi dei singoli protagonisti, i ruoli sociali e le etichette editoriali. Una delle prime
azioni è stata quella di provare a riaprire il dibatto sul libro. Senza condizionamenti di parte. Senza logiche di favore.
Il 21 dicembre viene esaminato uno dei titoli più consigliati dalla compagnia di giro: Febbre di Jonathan Bazzi, romanzo d'esordio vincitore del premio della trasmissione radiofonica “Fahrenheit” come miglior libro dell'anno. L'autore del romanzo
è omosessuale, scopre la sua sieropositività, fa coming out della malattia in rete, ottiene una discreta visibilità sui social. Il protagonista del romanzo racconta quella stessa vicenda, che parte dall'infanzia
per arrivare all'accettazione della malattia. Si mostrano subito diversi problemi stilistici: il più evidente è un tipo di narrazione che impone la visione dell'autore al lettore, diretta conseguenza
del fatto che autore e personaggio narrante vengono fatti coincidere; la necessità di riempire tutti gli spazi di interpretazione scade nel didascalico; la vicenda è inflazionata di personaggi stereotipati e
di contorno; i dialoghi sono spesso funzionalizzati al tema e costruiti come in una favola. Il tono finisce per essere compassionevole. L'opera è stata dunque premiata e discussa solo nella misura in cui si è
inteso confondere il valore letterario con quello civile.
Alla "febbre" si è contrapposta la cura: Termomeccaniche di Luca Fassi, autore della collana sperimentale "Wildworld". L'opera è subdola. Prima rassicura il lettore con l’ironia, lo irretisce con scene comiche, lo seduce con l’intelligenza,
poi lo accompagna in profondità altrimenti inaccessibili e gli mostra l’orrore. Se ne esce contaminati, confusi. Senza il bisogno di alcuna digressione o prese di consapevolezza, né del personaggio né
dell'autore, che è ben nascosto dietro il testo. L'effetto paranoia avvolge il lettore solo attraverso la storia che gli viene raccontata, senza didascalie o teoremi da dimostrare.
Poi, il 2 gennaio, è stata la volta del capolavoro letterario dell'anno: dopo il record di 43 recensioni positive su un unico quotidiano, arriva l'analisi de Il Colibrì di Sandro Veronesi. La prima constatazione risponde a un punto fondamentale dell'imperdonabile decalogo letterario: «Da cosa dipende il «prestigio»
di un romanziere realista, se non dal «gioco di prestigio» con il quale l’autore scompare dietro la prospettiva del vice-narratore (o personaggio principale) per poi ricomparire – senza che il lettore
se ne accorga –, nel controllo sintattico, lessicale, temporale con cui conferisce «l’illusione di realtà» al racconto?» Il problema principale di quella narrazione rimane il didascalismo
e l'«ambiguofobia» dello scrittore (punto 6 del decalogo), che non lascia alcuno spazio all'indagine attiva del lettore. Lo stile narrativo cade spesso in automatismi giornalistici; i dialoghi sono superficiali,
si limitano al cosa e non al come della relazione tra i personaggi, vengono utilizzati per chiarire il sottotesto; anche qui, il volume presenta intere pagine di documenti scritti in maniera documentaria, senza alcuna preoccupazione
per il lettore e per la noia che prova. Lo scrittore, in definitiva, sembra non avere molta fiducia nel suo pubblico, considerato alla stregua di un bambino da istruire: ne consegue una narrazione debole, con una struttura
colmata a forza di profondità, manchevole di una svolta drammaturgica forte. Insomma, è superato sia dal punto di vista tecnico che tematico.
Merita invece un'attenzione non superficiale la nuova serie di Paolo Sorrentino The new Pope: il regista, al pari di Fassi per Termomeccaniche, può essere considerato un precursore del modello imperdonabile. Sgombriamo subito il campo da ogni fraintendimento. Il romanzo deve superare il paradigma cinematografico, come è scritto chiaramente
nel decalogo (punto 6). Pertanto, si segnalano solo alcuni aspetti in comune con il romanzesco, quelli idonei a rappresentare determinate istanze e al netto di una precisazione: nell'opera di Sorrentino va denunciato un
palese "stilismo", che il decalogo (punto 2) respinge; in questo senso: se lo stile di ogni autore è apprezzabile, non lo è la sua riconoscibilità insistita, perché svela il gioco illusionistico
(in alcuni movimenti di macchina, sembra proprio di vedere Sorrentino dentro la scena). Il vero trait d'union con gli imperdonabili è il superamento dell'ideologia della verosimiglianza (punto 5). In quella logica, non sarebbe stata plausibile gran parte della serie. Aldilà di ogni scena in aperto contrasto
con la castità del politically correct – altro bersaglio degli Imperdonabili – si segnalano alcuni passaggi esemplari, che vanno verso un “realismo
dell'impossibile”. Il momento è quello della presa del potere (tutto la serie può essere vista come un'analisi delle dinamiche del potere, prima che una parodia della Chiesa cattolica). La resa
cinematografica sembra rifarsi alla più tipica rapina in banca con tanto di impiegati in ostaggio (tanto che ricorda La casa di carta): solo, i ladri sono francescani e gli ostaggi i cardinali tutti. Poco prima, abbiamo visto Francesco II, il Papa appena eletto con un gioco di palazzo, sedersi sul
trono con un tuffo goffo, quasi impercettibile. Il frame dura meno di un secondo. Può un Papa sedersi come un bambino all'asilo? Sorrentino glielo fa fare. E lo evidenzia con inquadrature larghe, che mostrano il
capo della Chiesa incapace di toccare terra con i piedi. Questo è solo un esempio del modo in cui è possibile determinare la morte dello stereotipo, della verosimiglianza, eppure produrre un'illusione di
realtà molto forte. Ma anche la polisemia, il non detto, l'interpretazione polivalente del personaggio: Francesco II, benché affronti problemi di un certo valore etico come la povertà, è cinico
e diabolico al punto da superare perfino il personaggio di Voiello, segretario dello Stato Vaticano. Potremmo azzardare dicendo che questo personaggio si impossessa (e lo farà per pochi minuti) della serie beffandosi
dello stesso Sorrentino (punti 7 e 1 del decalogo).
Il secondo e ultimo elemento imperdonabile risiede nella costruzione dei dialoghi. Mettono quasi sempre in scena la relazione manipolatoria tra gli interlocutori, più che il senso
dello scambio (punto 4). Addirittura si svolgono tra personaggi impossibilitati a rispondere, come tra Voiello e il nipote disabile. Non c'è quasi mai una comunicazione umana “appropriata”, se non quando
la vicenda esige un minimo di chiarimento, e nella scena è spesso presente un diversivo eccentrico rispetto al focus. La domanda finale, da lettori, è questa: come mai non possiamo leggere, in Italia, libri del
genere per intreccio e per capacità di coinvolgimento?
Per concludere, il percorso degli Imperdonabili parte da una determinata tradizione per coglierne gli aspetti più adatti a risvegliare l'interesse del pubblico contemporaneo,
che non è affatto indisponibile ad apprezzare l'impiego di tecniche innovative né incapace di seguirle: tutto all'opposto. L'unica resistenza in campo, semmai, può riguardare pubblico e autori
abituati alla narrazione tradizionale, novecentesca, con tutti i limiti anche generazionali del caso.
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