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LIBRI E RECENSIONI. STEVE ERICKSON - SHADOWBAHN

AVANTPOP

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Confesso: con Shadowbahn credo di percepire per la prima volta Steve Erickson, sia perché il mio precedente approccio con Arc d´X (che dovrò riprendere) non era stato felicissimo, ma era un´altra epoca, sia per un banalissimo equivoco che nessun altro blogger serio confesserebbe, ovvero la confusione con il quasi omonimo Steven Erikson, autore fantasy e di fantascienza.
Ora, siccome il genere avantpop curato da Erickson confina in qualche angolo con la fantascienza e Arc d´X mi aveva fatto proprio quella impressione lì, sono rimasto impelagato nell´equivoco (e peraltro chi pubblicava Arc d´X? Fanucci! Editore anche di sci-fi), scioltosi solo in prossimità di questa recensione.

La cosa è però una felicissima coincidenza o forse una intuizione involontaria. Infatti Shadowbahn parla proprio (o anche) di questo! Ovvero di doppi reali e possibili, equivoci, scambi di identità, arte e manufatti di cui è difficile l´attribuzione: in poche parole distopie, ucronie, anacronismi, errori di logica (voluti) e appunto tutto il portato avantpop che mi pare caratterizzi la carriera di Erickson. Che, immagino, amerebbe l´equivoco di cui sopra.
Ma usciamone. Ci troviamo in effetti davanti a una sorta di grande romanzo americano pop diviso in brevi capitoli, nel quale Erickson non si nega niente: la riapparizione delle Torri Gemelle, gli Stati Uniti all´indomani di una nuova secessione, una sorta di trama parallela on the road che pare una versione ridotta e allucinata della ferrovia sotterranea di Whitehead, un JFK mai presidente e mai ucciso nell´attentato,  un gemello (il gemello) di Elvis Presley e soprattutto tanta musica in MP3, una playlist ideale di tutta la musica che ha fatto l´America e che è stata fatta dall´America, la vera idea portante del libro, come se il pop, specie quello generato dallo scambio meticcio di radici blues (nere) e gusto per la canzone orecchiabile da pochi minuti (bianco) fosse il vero fattore ora di attrito, ora di coesione della storia recente degli USA.

Il romanzo è insomma allo stesso tempo rapido e comunicativo (la struttura a capitoletti, il linguaggio moderno, cromato, ma senza contorsioni o sfoggi di bravura pynchoniani) e denso: superata la prima sezione si abbandona la linearità seguendo nel tempo e nello spazio - quantomai dilatati - i destini letteralmente incerti dei personaggi alla ricerca dell´interpretazione decisiva (perché le Torri sono ricomparse?) e della canzone definitiva destinata a dare il senso all´esistenza stessa dell´America. O forse, se non trovata, a togliere lo stesso.

Non è questo un libro di cui sia semplicissimo parlare, come vedete, dando riferimenti solidi e allo stesso tempo non credo che cambierà in Italia i destini editoriali di Erickson, che mi pare non sia mai assurto veramente nel vero gotha postmoderno degli scrittori che da noi, pur di nicchia, paiono farne parte per censo e considerazione ( Powers, ovviamente Pynchon, Foster Wallace, lo stesso DeLillo che a inizio carriera aveva pure avuto una fase spiccatamente pop) e allo stesso tempo non ha beneficiato di particolari effetti-traino dovuti all´affermazione del New Weird alla Miéville e alla Vandermeer, genere o tendenza tutto sommato coerente con le creazioni di Erickson stesso.
Detto questo, si tratta di un´opera potente e visionaria, pubblicata credo dall´editore giusto, e che merita una ragionevole attenzione tra le uscite di questo 2018.

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Steve Erickson - Shadowbahn
Traduzione di Michele Piumini
Ed. Il Saggiatore 2018
312 pg.
Attualmente in commercio   
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