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LIBRI E RECENSIONI. GEORGE SAUNDERS - LINCOLN NEL BARDO.

DOVE NON BASTA L´IDEA

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Questo Lincoln nel bardo è uscito negli Stati Uniti e poi arrivato da noi con le stimmate del capolavoro annunciato, del libro evento, anche per il fatto di costituire l´esordio romanzesco di George Saunders, considerato uno dei migliori scrittori di racconti del nostro tempo (ed effettivamente 10 Dicembre è una raccolta notevole).

Vorrei quindi subito andare al sodo e palesare due considerazioni: una più generale, l´altra strettamente personale. L´idea del romanzo polifonico e multi-registro, una sorta di moderna Spoon River, filologico nella ricostruzione d´ambiente e con messaggi forti su morte, destino, giustizia, se vogliamo anche con un certo sottofondo pacifista-messianico è affascinante, probabilmente una strada da provare, specie per uno scrittore visionario e laterale come Saunders, ma si è scontrata a mio modo di vedere con una realizzazione troppo querula, manieristica e convinta di sé.
Da un punto di vista personale, dico che questo è stato un romanzo che non mi ha dato nulla: nessuna commozione, o risata, o spunto di riflessione, o visione in chissà quali angoli o abissi.
Se chiaramente da questo punto di vista - in quanto strettamente legato al mio piacere - non sono tenuto a spiegare nulla, qualcosa di più vorrei dire sul sostanziale fallimento nel trasformare lo spunto -  come detto anche curioso interessante ambizioso - in romanzo.

Sappiamo di cosa si parla: il figlioletto adorato di Abramo Lincoln dopo la morte si trova intrappolato nel "Bardo", una sorta di limbo (secondo il libro dei morti tibetano) popolato - per dirla in maniera semplice - da quelle anime che si rifiutano di riconoscere di essere defunte e quindi di percorrere gli ultimi fatali passi verso quello che potremmo definire un misterioso e potenzialmente terrorizzante aldilà.

Nel Bardo immaginato da Saunders vagolano appunto centinaia di queste anime, tra preti, popolani, soldati, gaudenti, schiavi neri, ognuno con una propria voce, delineata da Saunders anche con una certa maestria e con una buona mimesi, almeno questo va concesso, per così dire.
Il problema che ho riscontrato è che nessuna di queste voci, e si badi bene neppure quelle più "Promettenti" ovvero Lincoln stesso e il figlio, il piccolo Willie, si trasforma in personaggio. Ho visto lo scrittore, l´ho visto lì metaforicamente attrezzato di lima e cesello, impegnato e anche un po´compiaciuto, a sbozzare un suo lavoro artigianale, un manufatto di quelli un po´leziosi e fin troppo rifiniti, che trovi in certi negozi di ceramiche wanna-be. Soprammobili che si vedono troppo a mio modo di vedere, e che stuccano la vista come questo libro ha stuccato me come lettore.
Senza che in qualche momento, come ho detto, mi attraversasse un moto di emozione, di curiosità, o di illuminazione.
In questo senso Saunders esce tragicamente perdente - ma forse era chiaro in premessa - nella sfida con l´originale di Masters; allo stesso tempo se prendiamo la grandezza architettonica e visionaria di una ricostruzione storico-metafisica come Mason & Dixon di Pynchon, Lincoln nel Bardo si ferma ad anni luce da quella complessità di forme e ispirazione visionaria. Cito questo romanzo non per accanirmi su Saunders, ma perché certe premesse di ricostruzione d´ambiente, movimenti di massa, evocazione nostalgica di caratteri e rapporti, mi sono sembrate sostanzialmente omogenee (in altre parole, credo che Saunders abbia letto il libro di Pynchon e abbia provato a trarre ispirazione).

Un ultimo ma credo grave appunto: se lo scrittore fa il libro metafisico-visionario sulla morte, e sui limbo, e sull´accettazione della prima, deve poi resistere alla tentazione di spiegare e invece specie verso il finale qui veramente mi sono sentito tirato per il pullover e ho avvertito tutte queste fastidiose sottolineature: ecco lettore, qui è dove ti dico che quelli che stanno nel Bardo non accettano la morte, qui dove ti spiego chi va in Paradiso e chi all´Inferno, qui dove ti dimostro perché il tal personaggio è stato taaanto cattivo in vita e fa quindi una brutta fine. Un po´come in quei film fantastici o horror dove in assenza di miglior ispirazione "scenica" il regista deve buttarla in caciara o - ancora peggio - in McGuffin.

Con questo non vorrei ora diventare acido o dire che questo è il peggior dei romanzi possibili. Come detto, riconosci qua e là la mano dello scrittore di livello, ma direi che è venuta fuori nel complesso un´opera sostanzialmente inutile, nata vecchia e - in qualche punto - decisamente fastidiosa. Viste le premesse, una vera disdetta.


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Informazioni sul libro

George Saunders - Lincoln nel Bardo
Traduzione di Cristiana Mennella
Ed. Feltrinelli 2017
352 pg.
Attualmente in commercio

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Ps. in questo caso riconoscerei alla traduttrice un ottimo lavoro sulle "voci" ideate da Saunders. Chiaramente non è onere del traduttore salvare un libro sbagliato.

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