IL GRANDE SCRITTORE AMERICANO
Mi dispiaceva non avere sul Blog un vero articolo monografico dedicato a Philip Roth, uno dei miei scrittori preferiti, e uno scrittore tra i più grandi dei nostri tempi.
Mi dispiaceva ed era però risultato dei tempi, i tempi in cui ho conosciuto e letto questo autore, giorni e anni nei quali si recensiva (se lo si faceva) mentalmente, e non si fissavano le proprie impressioni su carta (seppur virtuale) e tantomeno su Blog o luoghi specifici.
La qualità delle recensioni o dei pareri di un lettore-non-critico è chiaramente discutibile, ma non lo è invece - o almeno non credo che lo sia - il valore documentale, essersi appuntato quello che si pensava di un determinato libro in un determinato momento.
Per tutta la parte della produzione dello scrittore di Newark precedente alla mia abitudine di postare i miei pareri su Anobii e poi alla nascita del Blog devo quindi riferirmi a queste mie impressioni, a quello che si era mosso allora, quando ero un lettore già avveduto ma più giovane e acerbo e certo non in possesso dello "strumentario" che credo di avere ora a disposizione.
Inoltre credo che per quantità e versatilità della produzione, temi e filoni, sia comunque molto complesso mettere mano a una monografia rothiana, anche negli spazi divulgativi e volutamente non-pretenziosi di una "rubrica" (diciamo così) come "I miei scrittori" che propone piccole guide di lettura con istantanee e rapide visioni dell´opera di un autore.
Non avendo trovato altra strada valida, vado per ordine cronologico di pubblicazione. Noterete qualche buco, dovuto al fatto che non ho ancora letto tutta la produzione rothiana (me ne mancano sette, per la precisione) e in particolare da ragazzo avevo qualche problema con la figura di Zuckerman, in particolare quelli usciti negli anni ´70, che mi parevano costruzioni o troppo imbevute di teoria o troppo desiderose di dar voce a invettive molto personali. Ora che credo di aver superato questa mia difficoltá, mi sono proposto di recuperare "centellinando" le mie ultime letture rothiane, anche alla luce della sua dolorosa ma comprensibile decisione di non pubblicare più (non mi levo dalla mente che sia stata anche dovuta all´osservazione delle ultime senili - secondo me non riuscitissime - prove del collega Saul Bellow).
Goodbye, Columbus (1959)
Il suo esordio, e Roth era già Roth. So che è illogico dirlo, ma per me l´esordio emozionale di Roth sarà sempre Il lamento di Portnoy (tra qualche riga), ma in questa novella di poco più di cento pagine vediamo già una mano capace e solida, una scrittura limpida, alcuni dei suoi temi (la felicità impossibile, il rito di passaggio della gioventù) e anche i cinque racconti allegati sono molto validi. Inoltre si legge in un giorno e mezzo e può fungere da introduzione/assaggio per chi volesse fare la conoscenza dello scrittore senza affrontare (ancora) le sue opere più impegnative o peculiari.
Lasciar andare (1962)
Non letto, se ne parla come di un Roth tradizionale e molto Jamesiano.
Quando lei era buona (1967)
È un Roth un po´legnoso e visibilmente alle prese con una rabbia e un´ istanza personali, in Lucy - la protagonista - vive la sua prima moglie Maggie Willams, una relazione tormentata, dolorosa, ricattatoria, che evidentemente lo scrittore doveva rappresentare sulla pagina a fini catartici.
Il romanzo sconta un po´questa esigenza, Lucy ha una sua potenza come personaggio, ma è una potenza odiosa, la partenza è abbastanza lenta, ci sono - come sempre - alcune pagine magistrali, ma diciamo che nella sua sostanziale natura di sfogo/bad medicine si tratta secondo me di un Roth solo per appassionati.
Lamento di Portnoy (1969)
Si sa dello scandalo che aveva suscitato questo libro nella comunità ebraica del New Jersey (con conseguenti e godibili storie, come i genitori di Roth mandati in crociera per sfuggire al chiacchiericcio e il padre - abile venditore - che lo smercia agli altri ospiti della nave) e anche del suo successo.
Roth non solo rompe con la comunità ebraica - e va bene - ma soprattutto traccia un primo distacco con la sua natura di romanziere fino a quel momento sostanzialmente tradizionale.
Crea una voce scatenata, impudica, sincera fino all´autolesionismo, ma lo fa con gli strumenti del mestiere, la voce e il modo di costruirla sono tutt´altro che ingenui, gli obiettivi scelti con cura e cattiveria (le madri ebree, i rabbini pomposi e tanto altro) e per la prima volta fa un utilizzo tattico e abbondante di sesso e sconcezze varie.
Il libro sa essere allo stesso tempo profondo, rivelatorio e divertentissimo, è secondo me una chiara dimostrazione di genio, e fa sentire tuttora forte la sua influenza (alcuni esempi: Foer, Auslander, Shteyngart). Per me un must, se si vuole leggere Roth.
La nostra gang (1971)
Dopo il tour de force del Lamento Roth ha avuto qualche difficoltá di riassestamento, che si è espressa in due-tre libri anomali, questo (da me non ancora letto) è una sorta di pamphlet polemico nei confronti di Nixon, non do per scontato che il libro sia invecchiato male ma diciamo che potrebbe essere uno tra i titoli più "situazionali" della produzione dell´autore.
Il seno (1972)
Non ancora letto, compare per la prima volta il personaggio di David Kepesh, qui in uno spunto fortemente Kafkiano (Kepesh si trasforma in un seno, come da titolo) che sinceramente mi ha sempre un po´tenuto lontano.
Il grande romanzo americano (1973)
Evitando battute a partire dal titolo, anche questo è un libro piuttosto particolare, ha una struttura scombiccherata e oggettivamente deficitaria. Alcuni esempi: il presunto protagonista, il giornalista sportivo "Word" Smith, viene perso per strada, c´è una (peraltro divertentissima) apparizione di Hemingway e una serie di stroncature di classici della letteratura americana che non legano con il resto. Resto che è costituito da una iper-tecnica quanto picaresca storia di baseball (in parole povere se non si conosce a menadito lo sport ci si perdono tante sfumature). Il genio dello scrittore - va detto - si palesa in diversi punti e invenzioni, e d´altra parte l´idea di base, quella di una lega professionistica immaginaria, si presta. Anche qui però siamo di fronte a un Roth per completisti e fan. Peraltro il Grande Romanzo Americano Roth lo ha scritto davvero, ma 24 anni dopo e con un altro titolo.
La mia vita come uomo (1974)
Altro non letto, altra struttura particolare (due racconti attribuiti al personaggio di Peter Tarnopol, scrittore ebreo che poi prenderà la parola nella terza sezione del romanzo), prima apparizione di Zuckerman e un´ulteriore "resa dei conti" rispetto al matrimonio con Maggie Williams. Il libro, come gli altri di Roth di questo periodo, non ebbe particolare successo di critica e di pubblico.
Il professore di desiderio (1977)
Non letto, ritorna Kepesh, ritorna potentemente il tema dell´erotismo.
Ciclo di Zuckerman: Lo scrittore fantasma (1979) - Zuckerman scatenato (1981) - La lezione di anatomia (1983) - L´orgia di Praga (1985)
Non letti, vedi l´avvertenza, ma ci tornerò, Da notare tra le altre cose il coraggio nell´aver affrontato una figura tabù come quella di Anne Frank ne Lo scrittore fantasma.
Con un certo grado di approssimazione, un Roth nuovamente maggiore e nuovamente acclamato dalla critica americana dopo i (ne)fasti degli anni ´70.
La controvita (1986)
Un capolavoro se vogliamo ostico, ma un capolavoro, immagino il Roth di quegli anni come uno scrittore accerchiato, e in questo libro - sempre affidandosi alla figura di Zuckerman - decide di rispondere colpo su colpo ai suoi avversari, veri o presunti, Roth vs. gli ebrei, Roth vs. gli antisemiti, Roth vs. le femministe.
Ma lo fa con finezza, comicità, partecipazione e suprema intelligenza, e dominando una struttura postmoderna particolarmente complessa (il romanzo nel romanzo, i personaggi che esistono solo sulla carta) e che in mano ad altri sarebbe sfuggita di mano o implosa.
Contiene peraltro due scene secondo me imperdibili (quella del ristorante e quella del tentato dirottamento dell´aereo).
Un grandissimo libro, considerabile tra i suoi migliori di sempre, forse non quello dal quale iniziare se lo si approccia per la prima volta.
I fatti (1988)
La sua autobiografia diciamo "canonica", cioé che si presenta come tale, anche se poi Roth usa qualche suo trucco del mestiere (e chiama in gioco Zuckerman). Paradossalmente la parte autobiografica rimane un po'anodina, meno urgente delle stesse cose (alla fine sono le tematiche rothiane) quando raccontate sotto forma di fiction, ma arriva appunto l'incursione di Zuckerman a nobilitare tutto e confermare il lettore in alcune sue perplessità strutturali.
Inganno (1990)
Romanzo smilzo, ma tutt´altro che di semplice concezione, dopo La controvita un´altra storia con diversi piani narrativi, apparentemente si parla di incontri sessuali e sentimentali e di tradimento, ma il vero Inganno viene perpetrato ai danni del lettore (o con la sua complicitá). Vicenda lievemente cerebrale, da confrontare con quelle reali delle donne di Roth ai tempi, in particolare la sua relazione con Claire Bloom. In ogni modo libro di ingegno finissimo e sofisticata concezione, di impianto dialogico e teatrale, non tra i suoi migliori ma godibile.
Patrimonio - Una storia vera (1991)
Quando forse il memoir non era à la page come adesso, Roth scrive di suo padre Hermann - morto tre anni prima - e della sua malattia, del suo disfacimento fisico.
Einaudi lo aveva fatto uscire credo non a caso nelle vicinanze della pubblicazione di Everyman, pure dedicato al tema della fine.
Libro potente e struggente, pervaso da amore filiale, umana pietà, forte consapevolezza della fragilità del corpo umano, soggetto a decadimento e a distruzione. Inoltre, come dicevo, una notevole dichiarazione di amore da figlio a padre.
Operazione Shylock: una confessione (1993)
Libro intricato, complicato, che dovrei assolutamente rileggere alla luce della mia maggiore consapevolezza come lettore: c´è Roth stesso e c´è un altro personaggio che in Israele si spaccia per lui, ci sono spie e complotti politici e la questione ebrea, naturalmente, e ancora il processo al criminale nazista Demjanjuk e da non dimenticare il sottotitolo, che allude a un´operazione di spionaggio per il Mossad a cui Roth avrebbe realmente partecipato (poi postmodernamente smentirà, e postmodernamente confermerà).
A distanza di anni, ricordo fascino ma anche molta e teorica complessità. Beneficio d´inventario: lo rileggerò.
Il teatro di Sabbath (1995)
La bomba, probabilmente il primo grande Roth dei ´90, uno dei piú grandi in assoluto e il libro che ne ha fatto segnare l´ulteriore e ultima ascesa, da grande scrittore americano contemporaneo a - probabilmente - uno dei più grandi scrittori di sempre.
La mia impressione: avendo utilizzato Zuckerman per replicare e combattere e argomentare, avendo affrontato una sua fase diciamo postmoderna, avendo affrontato questioni latamente politiche, Roth decide di liberarsi di sovrastrutture e di scatenarsi e divertirsi e shoccare e stupire e, naturalmente, scrivere divinamente.
Si tratta chiaramente di un romanzo sulla paura della morte, Mikey Sabbath attraversa la storia come un gigante egoista e lubrico, gustando e disgustando, Roth preme sul pedale del sesso sguaiato con alcune ormai molto celebri scene madri, ma senza mai perdere il controllo, sempre dando la sensazione che si stia parlando di quello, di quel vuoto, di quella vertigine di contare gli anni e chiedersi "e dopo?". E dopo c´è la fine, ma prima può esserci la soluzione di Sabbath.
Romanzo grandissimo, divertente, commovente. A molti, non a tutti, consiglierei di partire da qui.
Pastorale Americana (1997)
Da qui parte quello che io chiamerei "Il ciclo degli Stati Uniti" che - nella mia personale interpretazione - comprende questo, il successivo Ho sposato un comunista, La macchia umana e Il complotto contro l´America.
Per me questo è il miglior romanzo di Roth in assoluto, uno dei vertici della narrativa del ´900 e un probabile candidato al titolo di Grande Romanzo Americano.
Soprattutto è un libro bellissimo, il libro di uno scrittore che sente di non dover più dimostrare nulla a nessuno, se mi consentite la lieve banalità.
Io credo che sia un romanzo fortemente americano, da una parte il sogno della massima libertà, della massima ricchezza di opportunità, interpretato da Seymour "Lo svedese" Levov, dall´altro l´incubo di chi contro ogni logica e razionalità spreca questi doni e questi sogni, la figlia Merry, che si dà alla guerriglia terrorista, una scelta oscura come un tizzone, apparentemente immotivata, senza uscita o speranze.
Ma non si devono temere eccessi di schematismo, la vicenda si svolge plastica e reale, sbrogliata magistralmente attraverso lo sguardo di Zuckerman, e conta su grandissimi picchi tragici e su un personaggio femminile che potrebbe ricordare la Lucy di Quanto lei era buona. Un personaggio che si fa odiare, ma che ci indica - credo - il senso di tutta questa storia, l´essenza di una nazione che ha bisogno di covare nemici esterni e interni per poter definire se stessa compiutamente.
In molti casi, non in tutti, consiglierei di partire da qui (è un romanzo abbastanza lungo e di costruzione molto paziente e premurosa, ad alcuni potrebbe sembrare lento).
Ho sposato un comunista (1998)
Se vogliamo romanzo gemello di Pastorale Americana (dal punto di vista della qualità solo di poco, di un soffio inferiore), la "versione" di Roth sul maccartismo, e allo stesso tempo una storia di tradimento ideologico, un monito contro l´intolleranza e gli integralismi, nuovamente con riferimento alla storia recente americana.
Nel ritratto dell´attrice Eva Frame, che nelle sue memorie "denuncia" come comunista il marito Iron Rinn, qualcuno aveva visto una vendetta nei confronti di Claire Bloom, ex-moglie di Roth, che da poco aveva pubblicato l´autobiografia Leaving a Doll´s house, dove il ritratto dello scrittore non era certamente tra i più teneri (in breve: un egotista nevrotico, manipolativo, e solo innamorato della propria scrittura).
Comunque un grandissimo romanzo.
La macchia umana (2000)
Se il tema di Pastorale era o poteva essere il sogno americano e la sua distruzione dall´interno, quello di Ho sposato un comunista la tendenza patriottica e ideologicamente integralista, qui Roth si occupa da par suo del tema del politicamente corretto, quindi della falsa moralità, rappresentata
dall´accusa di razzismo contro il professore Coleman Silk, avanzata per aver appellato due suoi studenti neri come "Spooks" - fantasmi (perché non si vedono a lezione), ma anche dispregiativo per persone di colore. In realtà Silk é a sua volta di origine afroamericana, ma questo è un segreto che non può (più) essere rivelato.
Compare anche qui una forte componente erotica, sotto forma di relazione con Faunia, una bidella, programmaticamente ignorante, a cui il professore si lega nel momento della crisi, in un interessante ribaltamento di prospettiva.
Un altro grande autore americano che ha condotto una propria guerra contro il politicamente corretto e contro l´omologazione dei generi e delle razze in letteratura è Harold Bloom, anche se Roth ha tratto ispirazione da un´altra storia, ma mi pare che la sintonia tra le due visioni sia emblematica.
Anche qui e al di là degli agganci teorico-sociologici un grande romanzo, composito, vivace, profondo e dolente.
L´animale morente (2001)
Torna per l´ultima volta Kepesh, in una storia struggente, nuovamente "mortuaria" e - come si conviene al protagonista - intrisa di erotismo. Dopo il tour de force dei tre libri precedenti, Roth si conferma in stato di grazia, seppure faccia diciamo un passo indietro (dal personale/collettivo al personale puro). Condivide secondo me con La macchia umana alcune atmosfere e un sentore di disfacimento, di ultimo urlo - sensuale - di disperazione dei protagonisti. Vale assolutamente la pena e viste anche le dimensioni potrebbe essere un ragionevole ingresso nella poetica di Roth - non si tema per esempio di leggerlo senza aver assaggiato i precedenti Kepesh.
Il complotto contro l´America (2004)
Se quello che ho definito "ciclo degli Stati Uniti" contiene (tra le altre cose, e tutte cose notevoli) la critica di Roth nei confronti degli Stati Uniti, questo mi pare possa essere il romanzo patriottico di uno scrittore ebreo-americano, che come atteggiamento, visione, evoluzione, appartenenza, mi pare abbia fatto sue le prime parole dell´incipit del bellowiano Augie March.
Siamo di fronte a un´ucronia, nella quale Lindbergh - e non Roosvelt - vince le elezioni nel 1940.
Charles Lindbergh nella realtà era stato accusato di simpatie naziste, e nel romanzo con la sua elezione si vede iniziare una deriva antisemita nella politica americana (devo dire che le pagine che vedono gli Stati Uniti trasformasi in una sorta di propaggine tedesca d´oltreoceano sono tra le più efficaci del libro). Fino allo scioglimento, che non vorrei anticipare ma che suona come una dichiarazione di fiducia di Roth nei confronti dello spirito libertario e profondamente democratico degli USA.
Si tratta di un libro che a mio modo di vedere promette di più di quello che mantiene: c´è una forte adesione allo spirito dei tempi in cui è ambientato, grandi scene di città e di massa, ma l´apparato ideologico in qualche modo mi pare aver prostrato la potenza e la lucidità di Roth, forse più a suo agio con la critica o la riflessione problematica che con l´elogio o il clima da "arrivano i nostri".
Everyman (2006)
Romanzo "gemello" di Patrimonio, qui Roth affronta i temi di morte e malattia, ma in questo caso non da 56enne che assiste a quella del padre, ma come uomo ormai di settant´anni che probabilmente - superata la fase in cui una soluzione alla Mikey Sabbath pareva praticabile - affronta in prima persona quello spettro.
Romanzo tragico, dolente, struggente, ma mai patetico e disperato (grazie all´uso diffuso dell´ironia, compagna fedele e costante della narrativa rothiana), certamente un grande libro, il pronto ritorno ad altissimi livelli dopo quelli solo medio-alti de Il complotto.
Il fantasma esce di scena (2007)
Il fantasma è effettivamente uscito di scena. Il fantasma è Nathan Zuckerman, qui alla sua ultima apparizione, un´apparizione emblematica perché lo scrittore/alter-ego di Roth, anche lui minato da una malattia, dal disfacimento fisico, incontra un giovane biografo del suo idolo giovanile E.I. Lonoff (che compare nell´Orgia di Praga), ma anche una donna più giovane, un´ultima speranza e frenesia, nonostante lui sia ormai (si veda come) un vecchio, malato, isolato dal mondo, forse impotente.
Lo ricordo come uno dei romanzi più deboli di Roth, forse condizionato dal doversi distaccare da Zuckerman, forse impegnato in un gioco, una resa dei conti del tutto letteraria (un po´come Ravelstein di Bellow) che mi era parsa più importante per lo scrittore che avvincente per il lettore. Devo comunque dire che alla luce dell´addio di Nathan vorrei rileggerlo.
Indignazione (2008)
È l´inizio dell´ultimo ciclo di Roth, tre romanzi brevi, ognuno un sostantivo, una storia che mostra uno scrittore una volta di più in stato di grazia, che nelle dimensioni contenute trova una nuova forma di efficace e iconica incisività.
Qui troviamo un personaggio ancora fortemente americano, nuovamente larger-than-life, il soldato Marcus Messner, spirito libero e contestatore del potere costituito, ma anche uomo giovane e confuso, forse fratello più simpatico e robusto della Merry di Pastorale.
Se in effetti Merry sembrava fin dall´inizio di non poter contemplare o percepire alternative alla propria strada autodistruttiva, questo appare invece come un viaggio nel destino, nel peso delle scelte, ella morale e del libero arbitrio.
Questo romanzo è una scheggia, un perfetto esempio di efficacia narrativa, a Roth non servono molte pagine ed effetti speciali (anche se ne compare uno, seppur non originalissimo) per tirare fuori un nuovo capolavoro, che fa la sua bella figura accanto ai vari Pastorale, Controvita, Lamento di Portnoy e che mi sentirei di consigliare come possibile ingresso alla sua narrativa.
L´Umiliazione (2009)
Dopo aver ritratto una figura giovane nel ritratto precedente, Roth sembra avere nostalgia di Zuckerman o di se stesso e pennella il personaggio di un attore che ha perso la sua aura, il suo tocco, la sua capacità di convincere il pubblico.
Questo diventa però pretesto per una trama un po´sconnessa, per diverse avventure erotiche un
po´telefonate (come se lo scrittore in assenza di migliore ispirazione avesse provato a ricorrere ai trucchi del mestiere) e per un insieme che sostanzialmente non convince, sembrando un
po´l´imitazione sbiadita dei romanzi "mortuari" di Roth.
Nemesi (2010)
Fa un po´effetto pensare "questo é l´ultimo romanzo di Philip Roth". Ed é un romanzo bellissimo, a dire il vero.
Un romanzo fratello di Indignazione, secondo me, specie per il peso - in primis morale - del protagonista Bucky Cantor, un ragazzo, riformato e perciò impossibilitato a dare il proprio contributo nella seconda guerra mondiale, istruttore ginnico e animatore per i ragazzi del campo giochi a Newark, dove divampa l´epidemia di poliomielite, vera e propria piaga (nel romanzo) simil-biblica (e in effetti il tema della in-giustizia divina è tra quelli trattati più felicemente nel romanzo).
Credo che Indignazione e Nemesi, come titoli, come parole, abbiano molto a che fare con
l´atteggiamento di Roth in queste sue ultime opere, uno scrittore ancora completamente sul pezzo, rabbioso, incisivo, l´indignazione sembra quella verso le leve insondabili della giustizia su questa terra, la nemesi quella del destino che si riconquista - senza particolari motivazioni - fette cospicue dell´eroismo e della gioia di vivere dei protagonisti di questi due romanzi. Che sono,come dicevo, due veri capolavori, e nel dolore di non poter vedere più nulla di inedito, di nuovo, pubblicato da questo scrittore, rimane la gioia di averlo visto lasciarci, uscire di scena, in questa maniera. Da grande, da grandissimo, forse il più grande di tutti.
Avvertenza Nr.1: Non ho compreso in questa rassegna "Chiacchere di bottega", ovvero il saggio più propriamente letterario di Roth. Vale comunque la pena.
Avvertenza Nr.2: indispensabile compagno e compendio per comprendere l´evoluzione di Roth e
l´interazione tra scritti e vita è la bellissima biografia Roth scatenato di Claudia Roth Pierpont.
Aggiornamento Nr.1: sono stati nel frattempo pubblicati da Mondadori i tre volumi di romanzi "scelti" di Roth nella preziosa collana dei Meridiani. Importanti anche per chi li avesse giá, per le note e l´apparato critico.
Mi dispiaceva ed era però risultato dei tempi, i tempi in cui ho conosciuto e letto questo autore, giorni e anni nei quali si recensiva (se lo si faceva) mentalmente, e non si fissavano le proprie impressioni su carta (seppur virtuale) e tantomeno su Blog o luoghi specifici.
La qualità delle recensioni o dei pareri di un lettore-non-critico è chiaramente discutibile, ma non lo è invece - o almeno non credo che lo sia - il valore documentale, essersi appuntato quello che si pensava di un determinato libro in un determinato momento.
Per tutta la parte della produzione dello scrittore di Newark precedente alla mia abitudine di postare i miei pareri su Anobii e poi alla nascita del Blog devo quindi riferirmi a queste mie impressioni, a quello che si era mosso allora, quando ero un lettore già avveduto ma più giovane e acerbo e certo non in possesso dello "strumentario" che credo di avere ora a disposizione.
Inoltre credo che per quantità e versatilità della produzione, temi e filoni, sia comunque molto complesso mettere mano a una monografia rothiana, anche negli spazi divulgativi e volutamente non-pretenziosi di una "rubrica" (diciamo così) come "I miei scrittori" che propone piccole guide di lettura con istantanee e rapide visioni dell´opera di un autore.
Non avendo trovato altra strada valida, vado per ordine cronologico di pubblicazione. Noterete qualche buco, dovuto al fatto che non ho ancora letto tutta la produzione rothiana (me ne mancano sette, per la precisione) e in particolare da ragazzo avevo qualche problema con la figura di Zuckerman, in particolare quelli usciti negli anni ´70, che mi parevano costruzioni o troppo imbevute di teoria o troppo desiderose di dar voce a invettive molto personali. Ora che credo di aver superato questa mia difficoltá, mi sono proposto di recuperare "centellinando" le mie ultime letture rothiane, anche alla luce della sua dolorosa ma comprensibile decisione di non pubblicare più (non mi levo dalla mente che sia stata anche dovuta all´osservazione delle ultime senili - secondo me non riuscitissime - prove del collega Saul Bellow).
Goodbye, Columbus (1959)
Il suo esordio, e Roth era già Roth. So che è illogico dirlo, ma per me l´esordio emozionale di Roth sarà sempre Il lamento di Portnoy (tra qualche riga), ma in questa novella di poco più di cento pagine vediamo già una mano capace e solida, una scrittura limpida, alcuni dei suoi temi (la felicità impossibile, il rito di passaggio della gioventù) e anche i cinque racconti allegati sono molto validi. Inoltre si legge in un giorno e mezzo e può fungere da introduzione/assaggio per chi volesse fare la conoscenza dello scrittore senza affrontare (ancora) le sue opere più impegnative o peculiari.
Lasciar andare (1962)
Non letto, se ne parla come di un Roth tradizionale e molto Jamesiano.
Quando lei era buona (1967)
È un Roth un po´legnoso e visibilmente alle prese con una rabbia e un´ istanza personali, in Lucy - la protagonista - vive la sua prima moglie Maggie Willams, una relazione tormentata, dolorosa, ricattatoria, che evidentemente lo scrittore doveva rappresentare sulla pagina a fini catartici.
Il romanzo sconta un po´questa esigenza, Lucy ha una sua potenza come personaggio, ma è una potenza odiosa, la partenza è abbastanza lenta, ci sono - come sempre - alcune pagine magistrali, ma diciamo che nella sua sostanziale natura di sfogo/bad medicine si tratta secondo me di un Roth solo per appassionati.
Lamento di Portnoy (1969)
Si sa dello scandalo che aveva suscitato questo libro nella comunità ebraica del New Jersey (con conseguenti e godibili storie, come i genitori di Roth mandati in crociera per sfuggire al chiacchiericcio e il padre - abile venditore - che lo smercia agli altri ospiti della nave) e anche del suo successo.
Roth non solo rompe con la comunità ebraica - e va bene - ma soprattutto traccia un primo distacco con la sua natura di romanziere fino a quel momento sostanzialmente tradizionale.
Crea una voce scatenata, impudica, sincera fino all´autolesionismo, ma lo fa con gli strumenti del mestiere, la voce e il modo di costruirla sono tutt´altro che ingenui, gli obiettivi scelti con cura e cattiveria (le madri ebree, i rabbini pomposi e tanto altro) e per la prima volta fa un utilizzo tattico e abbondante di sesso e sconcezze varie.
Il libro sa essere allo stesso tempo profondo, rivelatorio e divertentissimo, è secondo me una chiara dimostrazione di genio, e fa sentire tuttora forte la sua influenza (alcuni esempi: Foer, Auslander, Shteyngart). Per me un must, se si vuole leggere Roth.
La nostra gang (1971)
Dopo il tour de force del Lamento Roth ha avuto qualche difficoltá di riassestamento, che si è espressa in due-tre libri anomali, questo (da me non ancora letto) è una sorta di pamphlet polemico nei confronti di Nixon, non do per scontato che il libro sia invecchiato male ma diciamo che potrebbe essere uno tra i titoli più "situazionali" della produzione dell´autore.
Il seno (1972)
Non ancora letto, compare per la prima volta il personaggio di David Kepesh, qui in uno spunto fortemente Kafkiano (Kepesh si trasforma in un seno, come da titolo) che sinceramente mi ha sempre un po´tenuto lontano.
Il grande romanzo americano (1973)
Evitando battute a partire dal titolo, anche questo è un libro piuttosto particolare, ha una struttura scombiccherata e oggettivamente deficitaria. Alcuni esempi: il presunto protagonista, il giornalista sportivo "Word" Smith, viene perso per strada, c´è una (peraltro divertentissima) apparizione di Hemingway e una serie di stroncature di classici della letteratura americana che non legano con il resto. Resto che è costituito da una iper-tecnica quanto picaresca storia di baseball (in parole povere se non si conosce a menadito lo sport ci si perdono tante sfumature). Il genio dello scrittore - va detto - si palesa in diversi punti e invenzioni, e d´altra parte l´idea di base, quella di una lega professionistica immaginaria, si presta. Anche qui però siamo di fronte a un Roth per completisti e fan. Peraltro il Grande Romanzo Americano Roth lo ha scritto davvero, ma 24 anni dopo e con un altro titolo.
La mia vita come uomo (1974)
Altro non letto, altra struttura particolare (due racconti attribuiti al personaggio di Peter Tarnopol, scrittore ebreo che poi prenderà la parola nella terza sezione del romanzo), prima apparizione di Zuckerman e un´ulteriore "resa dei conti" rispetto al matrimonio con Maggie Williams. Il libro, come gli altri di Roth di questo periodo, non ebbe particolare successo di critica e di pubblico.
Il professore di desiderio (1977)
Non letto, ritorna Kepesh, ritorna potentemente il tema dell´erotismo.
Ciclo di Zuckerman: Lo scrittore fantasma (1979) - Zuckerman scatenato (1981) - La lezione di anatomia (1983) - L´orgia di Praga (1985)
Non letti, vedi l´avvertenza, ma ci tornerò, Da notare tra le altre cose il coraggio nell´aver affrontato una figura tabù come quella di Anne Frank ne Lo scrittore fantasma.
Con un certo grado di approssimazione, un Roth nuovamente maggiore e nuovamente acclamato dalla critica americana dopo i (ne)fasti degli anni ´70.
La controvita (1986)
Un capolavoro se vogliamo ostico, ma un capolavoro, immagino il Roth di quegli anni come uno scrittore accerchiato, e in questo libro - sempre affidandosi alla figura di Zuckerman - decide di rispondere colpo su colpo ai suoi avversari, veri o presunti, Roth vs. gli ebrei, Roth vs. gli antisemiti, Roth vs. le femministe.
Ma lo fa con finezza, comicità, partecipazione e suprema intelligenza, e dominando una struttura postmoderna particolarmente complessa (il romanzo nel romanzo, i personaggi che esistono solo sulla carta) e che in mano ad altri sarebbe sfuggita di mano o implosa.
Contiene peraltro due scene secondo me imperdibili (quella del ristorante e quella del tentato dirottamento dell´aereo).
Un grandissimo libro, considerabile tra i suoi migliori di sempre, forse non quello dal quale iniziare se lo si approccia per la prima volta.
I fatti (1988)
La sua autobiografia diciamo "canonica", cioé che si presenta come tale, anche se poi Roth usa qualche suo trucco del mestiere (e chiama in gioco Zuckerman). Paradossalmente la parte autobiografica rimane un po'anodina, meno urgente delle stesse cose (alla fine sono le tematiche rothiane) quando raccontate sotto forma di fiction, ma arriva appunto l'incursione di Zuckerman a nobilitare tutto e confermare il lettore in alcune sue perplessità strutturali.
Inganno (1990)
Romanzo smilzo, ma tutt´altro che di semplice concezione, dopo La controvita un´altra storia con diversi piani narrativi, apparentemente si parla di incontri sessuali e sentimentali e di tradimento, ma il vero Inganno viene perpetrato ai danni del lettore (o con la sua complicitá). Vicenda lievemente cerebrale, da confrontare con quelle reali delle donne di Roth ai tempi, in particolare la sua relazione con Claire Bloom. In ogni modo libro di ingegno finissimo e sofisticata concezione, di impianto dialogico e teatrale, non tra i suoi migliori ma godibile.
Patrimonio - Una storia vera (1991)
Quando forse il memoir non era à la page come adesso, Roth scrive di suo padre Hermann - morto tre anni prima - e della sua malattia, del suo disfacimento fisico.
Einaudi lo aveva fatto uscire credo non a caso nelle vicinanze della pubblicazione di Everyman, pure dedicato al tema della fine.
Libro potente e struggente, pervaso da amore filiale, umana pietà, forte consapevolezza della fragilità del corpo umano, soggetto a decadimento e a distruzione. Inoltre, come dicevo, una notevole dichiarazione di amore da figlio a padre.
Operazione Shylock: una confessione (1993)
Libro intricato, complicato, che dovrei assolutamente rileggere alla luce della mia maggiore consapevolezza come lettore: c´è Roth stesso e c´è un altro personaggio che in Israele si spaccia per lui, ci sono spie e complotti politici e la questione ebrea, naturalmente, e ancora il processo al criminale nazista Demjanjuk e da non dimenticare il sottotitolo, che allude a un´operazione di spionaggio per il Mossad a cui Roth avrebbe realmente partecipato (poi postmodernamente smentirà, e postmodernamente confermerà).
A distanza di anni, ricordo fascino ma anche molta e teorica complessità. Beneficio d´inventario: lo rileggerò.
Il teatro di Sabbath (1995)
La bomba, probabilmente il primo grande Roth dei ´90, uno dei piú grandi in assoluto e il libro che ne ha fatto segnare l´ulteriore e ultima ascesa, da grande scrittore americano contemporaneo a - probabilmente - uno dei più grandi scrittori di sempre.
La mia impressione: avendo utilizzato Zuckerman per replicare e combattere e argomentare, avendo affrontato una sua fase diciamo postmoderna, avendo affrontato questioni latamente politiche, Roth decide di liberarsi di sovrastrutture e di scatenarsi e divertirsi e shoccare e stupire e, naturalmente, scrivere divinamente.
Si tratta chiaramente di un romanzo sulla paura della morte, Mikey Sabbath attraversa la storia come un gigante egoista e lubrico, gustando e disgustando, Roth preme sul pedale del sesso sguaiato con alcune ormai molto celebri scene madri, ma senza mai perdere il controllo, sempre dando la sensazione che si stia parlando di quello, di quel vuoto, di quella vertigine di contare gli anni e chiedersi "e dopo?". E dopo c´è la fine, ma prima può esserci la soluzione di Sabbath.
Romanzo grandissimo, divertente, commovente. A molti, non a tutti, consiglierei di partire da qui.
Pastorale Americana (1997)
Da qui parte quello che io chiamerei "Il ciclo degli Stati Uniti" che - nella mia personale interpretazione - comprende questo, il successivo Ho sposato un comunista, La macchia umana e Il complotto contro l´America.
Per me questo è il miglior romanzo di Roth in assoluto, uno dei vertici della narrativa del ´900 e un probabile candidato al titolo di Grande Romanzo Americano.
Soprattutto è un libro bellissimo, il libro di uno scrittore che sente di non dover più dimostrare nulla a nessuno, se mi consentite la lieve banalità.
Io credo che sia un romanzo fortemente americano, da una parte il sogno della massima libertà, della massima ricchezza di opportunità, interpretato da Seymour "Lo svedese" Levov, dall´altro l´incubo di chi contro ogni logica e razionalità spreca questi doni e questi sogni, la figlia Merry, che si dà alla guerriglia terrorista, una scelta oscura come un tizzone, apparentemente immotivata, senza uscita o speranze.
Ma non si devono temere eccessi di schematismo, la vicenda si svolge plastica e reale, sbrogliata magistralmente attraverso lo sguardo di Zuckerman, e conta su grandissimi picchi tragici e su un personaggio femminile che potrebbe ricordare la Lucy di Quanto lei era buona. Un personaggio che si fa odiare, ma che ci indica - credo - il senso di tutta questa storia, l´essenza di una nazione che ha bisogno di covare nemici esterni e interni per poter definire se stessa compiutamente.
In molti casi, non in tutti, consiglierei di partire da qui (è un romanzo abbastanza lungo e di costruzione molto paziente e premurosa, ad alcuni potrebbe sembrare lento).
Ho sposato un comunista (1998)
Se vogliamo romanzo gemello di Pastorale Americana (dal punto di vista della qualità solo di poco, di un soffio inferiore), la "versione" di Roth sul maccartismo, e allo stesso tempo una storia di tradimento ideologico, un monito contro l´intolleranza e gli integralismi, nuovamente con riferimento alla storia recente americana.
Nel ritratto dell´attrice Eva Frame, che nelle sue memorie "denuncia" come comunista il marito Iron Rinn, qualcuno aveva visto una vendetta nei confronti di Claire Bloom, ex-moglie di Roth, che da poco aveva pubblicato l´autobiografia Leaving a Doll´s house, dove il ritratto dello scrittore non era certamente tra i più teneri (in breve: un egotista nevrotico, manipolativo, e solo innamorato della propria scrittura).
Comunque un grandissimo romanzo.
La macchia umana (2000)
Se il tema di Pastorale era o poteva essere il sogno americano e la sua distruzione dall´interno, quello di Ho sposato un comunista la tendenza patriottica e ideologicamente integralista, qui Roth si occupa da par suo del tema del politicamente corretto, quindi della falsa moralità, rappresentata
dall´accusa di razzismo contro il professore Coleman Silk, avanzata per aver appellato due suoi studenti neri come "Spooks" - fantasmi (perché non si vedono a lezione), ma anche dispregiativo per persone di colore. In realtà Silk é a sua volta di origine afroamericana, ma questo è un segreto che non può (più) essere rivelato.
Compare anche qui una forte componente erotica, sotto forma di relazione con Faunia, una bidella, programmaticamente ignorante, a cui il professore si lega nel momento della crisi, in un interessante ribaltamento di prospettiva.
Un altro grande autore americano che ha condotto una propria guerra contro il politicamente corretto e contro l´omologazione dei generi e delle razze in letteratura è Harold Bloom, anche se Roth ha tratto ispirazione da un´altra storia, ma mi pare che la sintonia tra le due visioni sia emblematica.
Anche qui e al di là degli agganci teorico-sociologici un grande romanzo, composito, vivace, profondo e dolente.
L´animale morente (2001)
Torna per l´ultima volta Kepesh, in una storia struggente, nuovamente "mortuaria" e - come si conviene al protagonista - intrisa di erotismo. Dopo il tour de force dei tre libri precedenti, Roth si conferma in stato di grazia, seppure faccia diciamo un passo indietro (dal personale/collettivo al personale puro). Condivide secondo me con La macchia umana alcune atmosfere e un sentore di disfacimento, di ultimo urlo - sensuale - di disperazione dei protagonisti. Vale assolutamente la pena e viste anche le dimensioni potrebbe essere un ragionevole ingresso nella poetica di Roth - non si tema per esempio di leggerlo senza aver assaggiato i precedenti Kepesh.
Il complotto contro l´America (2004)
Se quello che ho definito "ciclo degli Stati Uniti" contiene (tra le altre cose, e tutte cose notevoli) la critica di Roth nei confronti degli Stati Uniti, questo mi pare possa essere il romanzo patriottico di uno scrittore ebreo-americano, che come atteggiamento, visione, evoluzione, appartenenza, mi pare abbia fatto sue le prime parole dell´incipit del bellowiano Augie March.
Siamo di fronte a un´ucronia, nella quale Lindbergh - e non Roosvelt - vince le elezioni nel 1940.
Charles Lindbergh nella realtà era stato accusato di simpatie naziste, e nel romanzo con la sua elezione si vede iniziare una deriva antisemita nella politica americana (devo dire che le pagine che vedono gli Stati Uniti trasformasi in una sorta di propaggine tedesca d´oltreoceano sono tra le più efficaci del libro). Fino allo scioglimento, che non vorrei anticipare ma che suona come una dichiarazione di fiducia di Roth nei confronti dello spirito libertario e profondamente democratico degli USA.
Si tratta di un libro che a mio modo di vedere promette di più di quello che mantiene: c´è una forte adesione allo spirito dei tempi in cui è ambientato, grandi scene di città e di massa, ma l´apparato ideologico in qualche modo mi pare aver prostrato la potenza e la lucidità di Roth, forse più a suo agio con la critica o la riflessione problematica che con l´elogio o il clima da "arrivano i nostri".
Everyman (2006)
Romanzo "gemello" di Patrimonio, qui Roth affronta i temi di morte e malattia, ma in questo caso non da 56enne che assiste a quella del padre, ma come uomo ormai di settant´anni che probabilmente - superata la fase in cui una soluzione alla Mikey Sabbath pareva praticabile - affronta in prima persona quello spettro.
Romanzo tragico, dolente, struggente, ma mai patetico e disperato (grazie all´uso diffuso dell´ironia, compagna fedele e costante della narrativa rothiana), certamente un grande libro, il pronto ritorno ad altissimi livelli dopo quelli solo medio-alti de Il complotto.
Il fantasma esce di scena (2007)
Il fantasma è effettivamente uscito di scena. Il fantasma è Nathan Zuckerman, qui alla sua ultima apparizione, un´apparizione emblematica perché lo scrittore/alter-ego di Roth, anche lui minato da una malattia, dal disfacimento fisico, incontra un giovane biografo del suo idolo giovanile E.I. Lonoff (che compare nell´Orgia di Praga), ma anche una donna più giovane, un´ultima speranza e frenesia, nonostante lui sia ormai (si veda come) un vecchio, malato, isolato dal mondo, forse impotente.
Lo ricordo come uno dei romanzi più deboli di Roth, forse condizionato dal doversi distaccare da Zuckerman, forse impegnato in un gioco, una resa dei conti del tutto letteraria (un po´come Ravelstein di Bellow) che mi era parsa più importante per lo scrittore che avvincente per il lettore. Devo comunque dire che alla luce dell´addio di Nathan vorrei rileggerlo.
Indignazione (2008)
È l´inizio dell´ultimo ciclo di Roth, tre romanzi brevi, ognuno un sostantivo, una storia che mostra uno scrittore una volta di più in stato di grazia, che nelle dimensioni contenute trova una nuova forma di efficace e iconica incisività.
Qui troviamo un personaggio ancora fortemente americano, nuovamente larger-than-life, il soldato Marcus Messner, spirito libero e contestatore del potere costituito, ma anche uomo giovane e confuso, forse fratello più simpatico e robusto della Merry di Pastorale.
Se in effetti Merry sembrava fin dall´inizio di non poter contemplare o percepire alternative alla propria strada autodistruttiva, questo appare invece come un viaggio nel destino, nel peso delle scelte, ella morale e del libero arbitrio.
Questo romanzo è una scheggia, un perfetto esempio di efficacia narrativa, a Roth non servono molte pagine ed effetti speciali (anche se ne compare uno, seppur non originalissimo) per tirare fuori un nuovo capolavoro, che fa la sua bella figura accanto ai vari Pastorale, Controvita, Lamento di Portnoy e che mi sentirei di consigliare come possibile ingresso alla sua narrativa.
L´Umiliazione (2009)
Dopo aver ritratto una figura giovane nel ritratto precedente, Roth sembra avere nostalgia di Zuckerman o di se stesso e pennella il personaggio di un attore che ha perso la sua aura, il suo tocco, la sua capacità di convincere il pubblico.
Questo diventa però pretesto per una trama un po´sconnessa, per diverse avventure erotiche un
po´telefonate (come se lo scrittore in assenza di migliore ispirazione avesse provato a ricorrere ai trucchi del mestiere) e per un insieme che sostanzialmente non convince, sembrando un
po´l´imitazione sbiadita dei romanzi "mortuari" di Roth.
Nemesi (2010)
Fa un po´effetto pensare "questo é l´ultimo romanzo di Philip Roth". Ed é un romanzo bellissimo, a dire il vero.
Un romanzo fratello di Indignazione, secondo me, specie per il peso - in primis morale - del protagonista Bucky Cantor, un ragazzo, riformato e perciò impossibilitato a dare il proprio contributo nella seconda guerra mondiale, istruttore ginnico e animatore per i ragazzi del campo giochi a Newark, dove divampa l´epidemia di poliomielite, vera e propria piaga (nel romanzo) simil-biblica (e in effetti il tema della in-giustizia divina è tra quelli trattati più felicemente nel romanzo).
Credo che Indignazione e Nemesi, come titoli, come parole, abbiano molto a che fare con
l´atteggiamento di Roth in queste sue ultime opere, uno scrittore ancora completamente sul pezzo, rabbioso, incisivo, l´indignazione sembra quella verso le leve insondabili della giustizia su questa terra, la nemesi quella del destino che si riconquista - senza particolari motivazioni - fette cospicue dell´eroismo e della gioia di vivere dei protagonisti di questi due romanzi. Che sono,come dicevo, due veri capolavori, e nel dolore di non poter vedere più nulla di inedito, di nuovo, pubblicato da questo scrittore, rimane la gioia di averlo visto lasciarci, uscire di scena, in questa maniera. Da grande, da grandissimo, forse il più grande di tutti.
Avvertenza Nr.1: Non ho compreso in questa rassegna "Chiacchere di bottega", ovvero il saggio più propriamente letterario di Roth. Vale comunque la pena.
Avvertenza Nr.2: indispensabile compagno e compendio per comprendere l´evoluzione di Roth e
l´interazione tra scritti e vita è la bellissima biografia Roth scatenato di Claudia Roth Pierpont.
Aggiornamento Nr.1: sono stati nel frattempo pubblicati da Mondadori i tre volumi di romanzi "scelti" di Roth nella preziosa collana dei Meridiani. Importanti anche per chi li avesse giá, per le note e l´apparato critico.
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