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LIBRI E RECENSIONI. JONATHAN SAFRAN FOER - ECCOMI

IL GRANDE ROMANZO AMERICAN-EBREO


Eccomi

Eccomi costituisce il mio primo approccio con Jonathan Safran Foer. Nonostante l´approvazione critica e del pubblico, non mi ero sentito attrarre dai precedenti Ogni cosa è illuminata  e Molto forte, incredibilmente vicino.
Non so perché, e non credo sia importante.

In ogni modo, Eccomi è un romanzo notevole e dimostrerebbe quindi che sbagliavo.

Come nei libri precedenti Safran Foer mischia storia (in questo caso fantastoria), questione ebraica e vite comuni, cosa per cui mi pare si sia anche attirato qualche critica. In realtà, penso che
nell´escogitare trame complesse e composite, e nell´affrontare grandi questioni (esistenziali e storiche) uno scrittore debba dimostrare di saper dominare le trame stesse e avere qualcosa di serio e possibilmente inedito da dire sulle questioni in merito.
Mi pare che ambedue i presupposti vengano rispettati in questo libro.

Di cosa si tratta, in fondo? L´elemento fantastorico viene rappresentato sotto forma di terremoto che mette in ginocchio Israele e convince i suoi numerosi nemici a tentarne una sorta di attacco finale.
Di base e a fornire l´ossatura portante abbiamo però la storia di una famiglia, di una crisi di coppia, e di un uomo - il protagonista Jacob, sceneggiatore e scrittore - che vive (o sembra farlo) una vita di parole. In essa si nasconde, per evitare di affrontare i naturali conflitti che le relazioni portano con sé. Per evitare di temere morte e delusione, direi (in questo senso, riuscitissimo il personaggio e anche la moglie-perfezionista Julia).

Le diverse parti sono ben integrate tra di loro, e qui siamo all´aspetto "struttura". Non facile dominare un romanzo piuttosto lungo con tali componenti evitando di sbracare o di creare squilibri, e a Safran Foer riesce.
La riflessione sulla questione ebraica è ben centrata, e in particolare si affronta un tema non nuovo, quello dell´integrazione dell´ebreo nella società americana (ricordate quell´incipit di Bellow?), quindi il rapporto tra tradizione e nuova identità, tra ebreo post-diaspora ed ebreo post-ritorno, la stesso ruolo di Israele come patia reale, immaginaria, immaginata o addirittura ideale (o idealizzato) "rifugio"dell´ebreo. Fa bene Safran Foer a inserire qui il problema-frattura-terremoto che mette
l´ebreo americano di fronte alle proprie responsabilità e crea un serio problema di idealizzazione/identificazione di/con un paese improvvisamente fragile e sotto tiro, cosa che a sua volta ci porta alla questione di quanto possa essere violenta e cinica la reazione, la risposta: la dialettica vittima diventata carnefice ad esempio molto presente in Malamud e nello stesso Bellow.
Safran Foer ha delle cose da dire, non so se inedite, e le dice bene.

La parte privata è dominata con dialoghi lunghi e terribilmente arguti (pure troppo, forse qui ancora uno dei limiti di Foer, che è bravo e sembra volerlo dimostrare in ogni scampolo di dialogo, in ogni paradosso o luogo comune che cerca di rovesciare), dando spazio a riflessioni profonde e problematiche sulle dinamiche di coppia, l´amore filiale, le crisi adolescenziali, il ruolo dei padri e degli avi, il sesso, la tecnologia.
Lo scrittore invita il lettore alla riflessione, lo intrattiene ma non ha risposte definitive. Che è la cosa che preferisco.

Dalla scelta dei temi e da un paio di altre cose che Safran Foer sa fare (ad esempio passare con facilità dal registro comico al tragico, si veda la scena virtuosistica sull´onanismo creativo di Sam e subito dopo la struggente orazione funebre del rabbino per il funerale di Isaac) potrei dire che si comprende come uno dei numi tutelari dello scrittore di Washington sia Philip Roth.
Ci sono un paio di omaggi espliciti allo scrittore di Newark: credo che la scena onanistica descritta prima sia un riferimento o rifacimento di alcune situazioni del Lamento di Portnoy, e si insiste molto sull´espressione "lasciar andare".
Questo romanzo è bello, e sarebbe ora limitativo relativizzarne il valore alla luce di un debito che mi pare naturale, verso un modello importante come Roth.
Certamente - come peraltro successe a Roth stesso (e secondo me era successo con il Lamento di Portnoy, guarda caso suo quarto romanzo) - Safran Foer, che può contare chiaramente su una propria personalità spiccata e una voce distintiva - ha la potenzialità per liberarsi da legacci (o da legacy) varie e assortite e trovare una propria collocazione ancora più originale (o innovativa) nella lunga e gloriosa tradizione degli scrittori americano-ebrei.
Nel frattempo, Eccomi è una lettura appagante e consigliata.

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Informazioni sul libro
Jonathan Safran Foer - Eccomi
Ed. Guanda 2016
Traduzione di Irene Abigail Piccinini
666 pg.
Attualmente in commercio 
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