LE IPERBOLI E LA PROSPETTIVA STORICA
Su Facebook ho fatto (se vogliamo volutamente) discutere dicendo che Jonathan Safran Foer potrebbe essere l´erede di Philip Roth. Partivo dalla mia attuale lettura, Eccomi, ultimo romanzo dello scrittore di Washington, prossimamente recensito qui sul Blog (ovvio).
Qualcuno l´ha presa come lesa maestà.
La frase vera che avrei potuto e forse dovuto dire - e che penso - è che non posso escludere che Foer sia destinato a scrivere libri molto importanti, diventando il prossimo grande scrittore americano-ebreo.
Chiaramente è limitante parlare di Roth in questi termini, se la prima parte della sua produzione era dominata da temi e questioni ebraiche, dal Teatro di Sabbath in poi lo scrittore di Newark si è liberato e librato, liberato di lacci, legacy e ipoteche e librato nell´empireo dei grandissimi scrittori americani tout court.
Mi pare che Safran Foer abbia studiato bene l´opera di Roth e stia modellando i suoi libri utilizzando materiali simili: l´umorismo, il gusto per il dialogo e il paradosso, un certo tipo di utilizzo del sesso, la riflessione inesausta sulla natura dell´ebreo e in particolare dell´ebreo integrato negli Stati Uniti, il buon dominio del testo nei passaggi da comico a tragico. Mi pare ci siano i presupposti per i quali detto quello che ha da dire sull´ebraismo e dintorni anche lui viri verso una minore dipendenza da questi temi.
Questo significa che Safran Foer sia già bravo come Roth? Ovviamente no.
Significa che abbiamo la garanzia che lo diventi? Ma no!
Ma riflettiamo, lo scrittore ora ha 39 anni, a quell´età Roth aveva scritto Goodbye, Columbus poi Letting Go (Lasciar Andare), When she was good (Quando lei era buona), Portnoy´s Complaint (Il lamento di Portnoy) e Our Gang (La nostra gang).
Di questi mi sentirei di dire che il capolavoro - che peraltro deve aver ispirato parecchio Foer - è proprio il Portnoy, ma è un capolavoro vitalista, sguaiato e giovanile, divertentissimo e rivelatorio ma ancora lontano dalle profondità del Roth maturo.
Per il resto Goodbye, Columbus è un buon racconto lungo, Quando lei era buona ha lampi rothiani ma è legnoso e imperfetto, La nostra gang è un pamphlet su Nixon, e attendo di leggere Lasciar Andare, che mi è stato descritto come un Roth jamesiano e ancora alla ricerca della sua dimensione, della sua voce, ancora impegnato a lavorare su se stesso e sui suoi rapporti con i relativi maestri (James appunto, Malamud, Bellow).
I margini, insomma, ci sono.
Molto spesso queste iperboli sotto forma di paragone nascondono intenti pubblicitari o come nel mio caso il desiderio di sbilanciarmi.
Nella letteratura come nella musica molto spesso (anzi, direi quasi sempre) sono la prospettiva storica, il gusto diffuso e per chi li frequenta l´insieme dominante dei pareri critici a provare a indicarci chi sono i classici. Peraltro in forma sempre fluida e discutibili - ci credereste, ci sono persone che ritengono che Roth non sia un grande scrittore (a mio modo di vedere, il problema è loro).
Ovvio che in questo momento Roth sia un concetto o forse un´aspirazione più che un essere umano e paia inarrivabile, e Safran Foer al contrario è presente, contemporaneo e quindi discusso, come era discusso Roth alla sua età.
In un tentativo di descrivere questo fatto della prospettiva storica e di come le cose si evolvano rievoco i tempi romantici in cui avevo acquistato il Teatro di Sabbath, nel 1995.
Roth era naturalmente conosciuto in Italia, era reduce comunque da alcuni libri impregnati di autobiografia (Inganno), desiderio di rivalsa (La controvita), questione ebrea (Operazione Shylock).
Certamente era scrittore edito e diffuso, ma credo che solo da Sabbath in poi abbia conquistato diciamo "il pubblico" (avveduto), alzato le tirature ma soprattutto sia diventato Scrittore Universale o Scrittore Americano Universale, con il Teatro ma poi con la ideale quadrilogia di Pastorale Americana, Ho sposato un comunista, La macchia umana e Il complotto contro l´America.
Con questo, fare paragoni rimane esercizio provocatorio e se vogliamo anche non necessario, diciamo che da parte mia è un´espressione di speranza, ovvero la speranza che - come la storia della letteratura continua a a dimostrare - i classici non finiscano mai.
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