UNA FAMIGLIA ITALIANA
Strano, strano libro questo di Brizzi. Vede il ritorno dello scrittore alla Narrativa con una Major ma esce in qualche modo in sordina. Come se ormai Brizzi fosse dato per scontato. Quello del Jack Frusciante, o - per chi lo segue nel tempo - quello della bella trilogia ucronica. O al limite quello dei reportage di viaggio e camminate e biciclettate.
Strano libro anche perché in qualche modo grezzo, poco lavorato, con un titolo - Il matrimonio di mio fratello - che non ne rispecchia appieno il contenuto.
Io fossi stato MONDADORI (in persona) lo avrei chiamato Una famiglia italiana.
Allora, Brizzi é scrittore consapevole, per cui se lo stile é a volte appunto allegramente scombiccherato, la visuale qualunquista come in una attualizzazione della saga fantozziana, il modo di considerare le donne spesso maschilista ai limiti della misoginia, un motivo deve esserci (oltre magari a qualche puntello autobiografico).
Proviamo a ricostruire: intanto si abbraccia la visuale concreta, cinica e realistica di Teo, colui che racconta (a parte alcuni squarci lirici in terza persona che descrivono la crescita e le imprese del fratello Max - il sognatore della famiglia). Teo vuole vivere tranquillo e pasciuto prendendosi qualche soddisfazione qua e là, la generazione dei genitori é quella che ha abbracciato il sogno del miracolo italiano, uscendone disillusa per la difficoltà di trasmettere alla generazione successiva...trasmettere cosa? Dei sogni e dei valori? O dei Valori con la V maiuscola, l´aspirazione a far crescere il Patrimonio, un sogno di arricchimento più che di semplice prosperità?
Credo sia in questo cinismo, in questo voler ricostruire una storia generazionale tipicamente italiana che Brizzi ha giocato la partita. La visuale di Teo non può che essere ruvida e in-grettita perché oltre alla propria imperfezione deve affrontare anche quella dei genitori o forse di un passaggio generazionale incompiuto. E la strada alternativa, quella tracciata dal fratello idealista, sembra destinata alle impervitá, o forse al fallimento.
Ma bando alle ciance teoriche: come spesso in Brizzi, la cosa funziona al di là della tradizionale bella scrittura (che qui manca) e della ricercatezza della trama (che pure qui manca). Funziona in alcune scene terribilmente comiche, nella fascinazione per l´etá fanciulla e le prime scoperte, nella ricostruzione di una Bologna vivace, dinamica, multiforme e perfino in certi ben presenti stereotipi, forse perché tutto sommato veri o riconoscibili (la compagna di classe secchione, quella porca, il compagno che si vanta di immaginarie conquiste, quello politicizzato imbevuto di teoria).
Se questo romanzo é inferiore alla quasi-perfezione del tutto sommato simile (nelle tematiche familiari, nella sua natura di storia di formazione) "La nostra guerra" é comunque storia che riesce a far ridere, muovere e commuovere. Mi pare un buon inizio per scoprire o riscoprire un autore che continua a raccontarci storie del nostro paese e a "migliorare con l´etá" (cit.).
Non ti ricorda i film di Pupi Avati?
RispondiEliminaGrazie del commento. Ci può stare
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