RIFLESSIONE SUL MASCHIO - PARTE PRIMA
Recensirò uno dopo
l´altro due libri che considero “gemelli” sia per il loro dedicarsi alla
figura
dell´uomo (e del suo rapporto con la femmina) sia – molto di più – per la
suggestione di averli visti presentati assieme dalle due autrici, con la
moderazione di una scoppiettante Chiara Valerio, nell´ambito di Pordenonelegge
2015.
Si tratta di questo Cella di Gilda Policastro e de La resistenza del Maschio di Elisabetta Bucciarelli.
Il fatto che le due
autrici siano donne intelligenti, affascinanti, non è molto di attualità passata
la presentazione e comunque suona un po´maschilista per cui passo appunto al primo dei due testi.
Iniziamo dal lato
positivo: la Policastro sa scrivere, di una scrittura franta, virulenta,
espressiva e questo aiuta ad entrare nel romanzo, e a tenerselo stretta fino
alla fine, cosa che se si dovesse considerare la pura storia – la struttura, i personaggi - non sarebbe
poi così naturale o automatica viste alcune debolezze di fondo.
Siamo dalle parti
delle ambientazioni meridionali e brutalmente post-rurali di una Ferocia di
Lagioia. Le violenze familiari e sociali, le apparenze da mantenere, i mormorii del paese, le maternità sofferte e
poi lui – l´uomo dominatore – questo Giovanni, chirurgo-radiologo malato di
sesso e di adulterio multi-level, affascinante e non privo di carattere,
amorale. E lei – soprannominata Cella – donna in crisi e mutazione, che accetta
(non del tutto passivamente), violenza, sopraffazione e tradimento, in nome di…si
direbbe di un nichilismo primordiale e auto-inflitto, una rassegnazione quasi
iscritta nel proprio destino, tramandata, ereditata, insita nel contesto.
Una storia a tinte
forti ma non originalissima, nella quale a un certo punto si incrocia una vicenda che poteva essere utilizzata meglio, l´apparizione a casa di Cella di una
ex-terrorista curata da Giovanni che proprio per quello ha dovuto rendersi
latitante, abbandonando la protagonista e la figlia Elena alle loro vicende di di nemiche affettive.
Pur nella forza di
alcuni scorci e nella forte coerenza dell´insieme, uno scuro tizzone, un paese
e ambientazioni chiusi in se stessi, senza luce, speranza e ottimismo, la
Policastro deve sforzarsi di inserire a ripetizione perversioni, violenze e
scene di sesso per poter arrivare alla misura del romanzo e – come detto – lascia
cadere in maniera abbastanza sciatta l´intuizione riguardante la terrorista.
Per quanto riguarda la
riflessione sull´uomo, sul maschio, mi pare arrivi a ribadire urlando e
graffiando (a volte come evidenziato con buona – esacerbata – espressività)
cose tutto sommato risapute. Visti i mezzi e il modo in cui la storia pare “urgente”
per la sua autrice, credo si potesse fare di meglio.
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