IL BUIO DIETRO AL SOGNO
Tra l´esordio (sentito, autobiografico, vivido come molti esordi) con Di qua dal paradiso e la perfezione strutturale e linguistica del Grande Gatsby, si colloca il romanzo "imperfetto" o discusso e discutibile di Fitzgerald, questo Belli e Dannati, da me letto nell´edizione di Minimum Fax, molto curata e con la traduzione di Francesco Pacifico.
Nel tempo la critica ha sollevato diverse perplessità, sia su un certo eccesso di metafore scintillanti e di aggettivazione (si veda l´uso ripetuto di "estatico") sia su una struttura tutta frammenti, interpolazioni, pause e improvvise accelerazioni (si veda qui l´escalation finale).
In effetti mai come in questo romanzo Fitzgerald sperimenta: il romanzo è diviso in libri, che a loro volta sono divisi in sezioni e infine in capitoletti di lunghezza variabile, ognuno con un proprio titolo rappresentativo.
Ma non è tutto: alcuni capitoli sono in forma di puro dialogo, a volte immaginario, quasi come in una sceneggiatura teatrale.
Al di là di questi aspetti formali, il libro è poi intriso di riferimenti e influenze a palcoscenici e set, teatro, cabaret e cinematografo, un metodo che ricorda un po´quello utilizzato da Sergio Leone in
C´era una volta in America, anche se credo con intenti diversi.
Ma lasciamo perdere per un attimo le forme: Fitzgerald è bravissimo - come sempre - a descrivere quel germe dell´autoconsunzione già presente (e ignorato) nel sogno americano. Credo sia bravissimo in questo perché quel germe era in primis dentro di lui.
In questo senso nelle vicende di Anthony e Gloria domina un elemento autobiografico. In questa coppia di esteti ed edonisti probabilmente lo scrittore aveva descritto molto di se stesso e di Zelda.
Mettendo i due belli e dannati al centro della scena, allo scrittore riesce di costruire una sorta di osservatorio deviato (perché A. e G. sono terribilmente snob) ma efficace sulla futilità (morale) dei valori di chi li circonda: vuoto dialogo intellettuale (Maury), aspirazioni artistiche soffocate dalla brama di successo (Dick), ricerca di denaro e potere e riconoscimento sociale, fatuo romanticismo cinematografico (Dot) e cosi via.
Ecco, dopo avervi dato questi ragguagli sulla struttura posso finalmente arrivare a un mio giudizio e dire che questo romanzo sarà pure imperfetto (e in effetti le prime 100/120 pagine sono un po´lente,
l´eccesso di metafore appesantisce qua e là) ma è un capolavoro senza se e senza ma.
Probabilmente proprio il ripercorrere la storia propria e di Zelda e - all´apice del successo - il presagire il crollo (Il Crack Up) che sarebbe venuto fa sì che Fitzgerald si avvicini tanto, tantissimo, alla verità, o meglio alle tante verità, sul senso della vita, l´amore, il tradimento, la carriera, i sogni destinati a non realizzarsi mai perché troppo grandi o forse indefiniti o forse circolari (come un immenso loop autoreferenziale, come se il desiderio, il desiderio stesso - meglio se irrealizzabile - costituisse la natura di sogni e aspirazioni).
Probabilmente Fitzgerald era uno di quegli animi che credono e sentono, credono e sentono troppo, credono nel vero amore (che smette di esserlo appena il relativo desiderio si realizza), nella vera amicizia, nella vita a colori, nell´assenza di frustrazione e nelle potenzialità infinite nel desiderio stesso. Di autorealizzarsi e poi una volta venuto a noia di autorinnovarsi. Cosa che non accade mai.
A un certo punto del personaggio di Maury si dice "L´ultima cosa che mi ha detto è che stava cominciando a lavorare per poter dimenticare che non c´era nulla per cui valesse la pena lavorare". Il sogno è destinato a infrangersi o a essere rimosso o a essere perpetuato in maniere non sostenibili, nelle chiacchere, nell´edonismo e soprattutto nell´alcol. Il giudizio di Fitzgerald è severo verso se stesso (Anthony) che inizia una discesa senza redenzione ma anche sprezzante verso Maury, la sua vecchia prosopopea sfociata in una vita senza bicchiere, a bianco e nero, e probabilmente senza premio.
Ma c´è dell´altro, alcuni giudizi incredibilmente veri su amore e fedeltà, una scena memorabile
sull´ambiente della vendita - quando Anthony decide di provarci - che potrebbe essere trasposta fedelmente nei nostri tempi, la falsa sincerità dell´imbonitore, il processo mentale del venditore disperato, e ancora altro, la scena della festa a casa di Anthony e Gloria, quasi a ritmo di vaudeville, la maniera in cui Anthony affronta la chiamata nell´esercito e ancora altro...
In sintesi: non so se Belli e dannati sia il libro più strutturalmente compiuto di Fitzgerald, quasi sicuramente no, ma che importa? È un capolavoro e una storia dove le luci del sogno americano vengono fatte brillare, brillare senza fine, brillare più forte che possono. Per poi farle spegnere, perché troppa energia finisce per bruciare.
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