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LIBRI E RECENSIONI. KARL-OVE KNAUSGARD - LA MORTE DEL PADRE

LA VITA AD ALTEZZA UOMO


I retro di copertina sono spesso massimalisti. in altri termini: ci vanno giù pesante. Baudino azzarda un paragone con Proust, credo più per l´estensione dell´opera (che consta in lingua originale di sei capitoli) che per altro. Parlo qui dell´edizione originale del primo dei libri pubblicata da Ponte alle Grazie con il titolo che la serie aveva in norvegese, ovvero La mia lotta. Come sappiamo, Feltrinelli ha poi ripubblicato tutto, in questo caso titolando La morte del padre.

Tornando al tema iniziale, è vero che anche qui si descrive una vita. ma tutto ciò che Proust ci descrive è (o sembra) filtrato dalla sua particolare sensibilità, diciamo pure dal suo snobismo. qui non ci sono principesse o salotti letterari, Knausgard probabilmente applica dei filtri ma non ce li fa vedere, insomma si ha l´impressione di essere di fronte a una vita vera, e l´aggettivo che mi viene in mente è "iperrealista".

Mi viene in soccorso lo scrittore stesso, che a un certo punto di questo secondo capitolo espone (o sembra farlo) la propria poetica

"...dovunque uno si voltasse vedeva finzione...il centro di tutta quella finzione, vera o meno che fosse, era l´omogeneità, che manteneva una costanza distanza dalla realtà. Non riuscivo a scrivere in questa situazione, non funzionava, a ogni singola frase faceva seguito un pensiero: ma questo è solo qualcosa che ti sei inventato. Non ha nessun valore. L´invenzione non ha nessun valore, il documentario non ha nessun valore. L´unica cosa in cui vedevo un valore, che ancora trasmetteva un significato, erano i diari e i saggi, la parte della letteratura che non aveva a che fare con il raccontare, non parlava di qualcosa, ma era fatta solo di una voce, la voce di una personalità a sé stante, un volto, uno sguardo che si poteva incontrare...se la finzione non aveva valore, allora non lo aveva neppure il mondo, perché era tramite la finzione che lo vedevamo adesso"

Quindi il tentativo di Knausgard attraverso il racconto iperrealistico e impudico (nel senso che pare non nascondere nulla) di sé è quello di sfuggire dalla morsa della finzione? O al contrario, la dichiarazione di poetica sopra riportata è essa stessa finzione, e quello che leggiamo altro non é che un romanzo, perché nessun diario, per quanto rispondente, per quanto preciso, può riportare la non-funzionalità della vita e allora già una pagina che riassume un momento o una giornata o un episodio o un impressione è in sé per sé finzione?

In fine, volo basso: si tratta comunque di un romanzo / saggio / diario appassionante, un esperimento e allo stesso tempo una narrazione di tipo tradizionale, che può essere letta quindi su più livelli, e che stimola ad aspettare con una certa trepidazione il prossimo capitolo.



 

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