ZUCKERMAN E IL PRODIGIO
Nel recensire La
Controvita, che arrivo a leggere solo ora per un po´di sana diffidenza verso il
Roth-Zuckermaniano di quel periodo, e nel definirlo un grandissimo libro, non
posso prescindere dal cercare di fare un po´ di ordine (per me) nella produzione
del genio di Newark.
Allora, definirei
il Primo Roth (Columbus, Portnoy,
Quando lei era buona, La Nostra Gang, Il Grande Romanzo) scrittore ribelle, spontaneo,
istintivo e forse anche un po´confuso.
L´ultimo Roth, da
Sabbath in poi (la classificazione è mia e quindi assolutamente discutibile)
saggio, ma di una saggezza terribilmente creativa, impaziente e mai veramente
pacificata (come il fuoco che cova sotto la cenere).
E allora questo
Roth di mezzo? Quello che ha utilizzato Zuckerman come quasi onnipresente alter
ego? Ecco io lo definirei un Roth accerchiato,
combattivo, uno scrittore che risponde colpo su colpo ai detrattori o semplicemente
a tutto ciò che arriva dal mondo esterno.
Roth contro gli
ebrei.
Roth contro gli
antisemiti.
Roth contro il
femminismo, o meglio contro le accuse di maltrattare le donne nei suoi libri
che gli arrivavano talvolta dalla critica.
Roth contro chi
lo accusava di essere un ladro di vita, di mettere in piazza quelle degli altri
– lo scrittore un ladro, un volgare scippatore, un topo da appartamenti ma di
quelli che lascia tracce di terra dappertutto e non si fa problemi a violare
qualsiasi cosa possa ricadere sotto il nome di intimità domestica.
Mi pare che tutti
questi temi (forse il terzo un po´ più in secondo piano) ci siano, ne La
Controvita. Ed era proprio questo apparato teorico, questa vocazione quasi
polemista e saggistica, questo mettersi al centro che inizialmente mi
allontanava dai Zuckerman.
Sbagliavo. La
Controvita è un libro prodigioso, che denota una facilità di scrittura,
un´intelligenza, una raffinatezza di pensiero sublimi. Oh voglio dire: laddove
l´ultimo Roth racconta e si fa addirittura lirico, questo è uno scrittore che
mostra e dimostra, che usa tutti gli strumenti del mestiere (saggio, dialogo,
invettiva, lettere) per ribattere colpo su colpo, ma sono colpi che in parte
vengono autoironicamente destinati anche a se stesso, alle proprie ossessioni,
alla propria vita scomposta, al caos organizzato delle proprie idee.
È in particolare
la struttura – complessa e direi postmoderna (il romanzo nel romanzo, il tema
di persone solo di carta) – a essere un sogno, e Roth la gestisce benissimo
(era difficile domarla senza fare un puro esercizio teorico e manierista), e ha
permesso a Roth-Zuckerman di mettersi al centro, ma evitando la pura autobiografia
e spiazzando e sorprendendo il lettore.
I temi di Roth ci
sono tutti: la famiglia, le radici ebree, il sionismo integralista,
l´antisemitismo, il sesso, l´amore
(impossibile?) con la bella e giovane e inglese Maria. Roth li gioca senza
risparmiarsi, e senza risparmiare al lettore invenzioni continue, comicità, dotte
dissertazioni (che potrebbero spaventare chi è legato a una forma maggiormente
narrata), scene madri –due su tutte: il tentato dirottamento dell´aereo e
quella del ristorante.
Probabilmente
anche solo per motivi di imprinting preferirò sempre il Roth da Sabbath in poi,
che era riuscito a fare un passo indietro, a mettere in scena personaggi
altrettanto potenti ma che non coincidevano al 100% con lui, che probabilmente si
sentiva abbastanza sicuro di sé da non dover più dimostrare niente a nessuno
mettendo in campo il suo ariete di sfondamento Zuckerman, ma non posso negare
che questo libro sia davvero un capolavoro nel senso che cercavo di spiegare
prima, e prodotto di un´intelligenza da scrittore (ma non solo) che davvero
sembra inarrivabile per i comuni mortali.
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